I profumi delle mele antiche nel borgo di Costabeorchia

PINZANO AL TAGLIAMENTO. Le regole del mercato sono impietose anche in agricoltura. Le mele di una volta non interessano le grandi catene commerciali, perché non rispondono alle logiche dell’apparenza, tutte impostate sull’estetica.
Non sono né perfette né bellocce, anzi sono troppo piccole per incontrare i gusti dei consumatori più standardizzati. Non è frutta griffata, perché non ha colori sgargianti. E non serve a nulla decantarne sapori e profumi.
Le varietà autoctone di mele antiche contengono la storia e le tradizioni di luoghi in parte dimenticati, soprattutto nella pedemontana.
Si sente dire: «Chissenefrega, è l’economia che detta le condizioni». Eppure, quelle piante così speciali rappresentano l’ultima frontiera per la difesa della biodiversità e di un patrimonio genetico importante, perché sono esempi di resistenza ad avversità parassitarie e climatiche e all’aggressività dell’omologazione.
Oggi finalmente parliamo di una riscoperta di valori solidi, antichi. Per rappresentare il fenomeno, con una fugace incursione nelle Sacre Scritture, si potrebbe tirare fuori il messaggio della pietra scartata dai costruttori, che diventa testata d’angolo.
Le mele autoctone, che non hanno mercato come frutta fresca, in quanto ritenute un po’ bruttine, vengono recuperate come prodotti di qualità attraverso la loro trasformazione. In questo particolare lavoro entrano in ballo creatività e fantasia.
Ne è un esempio l’attività di Christian Siega a Costabeorchia, un borgo di una trentina di abitanti nella pedemontana friulana, a due passi da Pinzano, con vista mozzafiato sulla parte più “intrigante” del fiume Tagliamento.
L’iniziativa, che è nata quasi dal nulla, è diventata un’impresa a tutti gli effetti. È avvenuto così il recupero di coltivazioni che si stavano estinguendo: attraverso di esse, sono stati messi in sicurezza terreni strutturalmente fragili, a rischio di smottamenti durante i nubifragi sempre più frequenti di questi tempi.
A quel tipo di agricoltura di nicchia, ci ha creduto Christian Siega, per anni artigiano piastrellista, coltivatore solo a tempo perso; e lo ha incoraggiato la sua compagna di vita, Serena Ciriani, con tanto di diploma in grafica pubblicitaria e fotografia, conseguito all’Istituto d’arte Sello di Udine: «Per un po’ me la sono cavata anche con le foto dei matrimoni».
Da poco più di un anno, dopo un lungo periodo per le necessarie sperimentazioni, entrambi hanno capito che era scoccata l’ora di dedicarsi anima e corpo al progetto di famiglia. L’attività si svolge sotto il simbolo di “Borgo delle mele”, che è il marchio dell’azienda.
Lui cura la parte operativa del laboratorio, lei si occupa del packaging, in quanto le confezioni hanno bisogno di attenzioni particolari, compresa la grafica accattivante delle etichette.
Com’è nata l’avventura imprenditoriale. Una decina di anni fa, Christian e Serena hanno deciso di ristrutturare la casa del padre di lei, a Costabeorchia, per andarci a vivere. La scelta ha fatto maturare una grande passione, quella della riscoperta dell’anima di una minuscola borgata nella Val d’Arzino.
Capita spesso che, a contatto con i racconti del luogo, tornino a galla storie di gente, vecchie tradizioni, mestieri che si sono persi nelle nebbie dello sviluppo. Tutti frammenti di vita consegnati alla memoria collettiva: aspettavano soltanto che l’interesse di qualcuno li rispolverasse.
È riaffiorata così anche l’arte del ripristino delle coltivazioni abbandonate, soprattutto quelle di mele antiche, che si estendevano per lo più nei terrazzamenti ricavati nelle colline. Ci vissero generazioni con quel tipo di agricoltura di sussistenza.
Nel 2008, la nascita della figlia Matilde è stata festeggiata dai genitori con la piantumazione di un albero; non però una pianta qualsiasi: «Abbiamo cercato proprio una varietà di melo che rappresentasse la nostra zona selvaggia, ricca di sentieri nascosti tra la vegetazione e di cascatelle. Poi ci abbiamo preso gusto e non ci siamo più fermati».
Con l’aiuto di un amico vivaista, attorno all’abitazione, sul versante meridionale un po’ franoso del colle Molimes, quello che degrada verso il torrente Gerchia, sono stati piantati quaranta meli, tutti di varietà autoctone.
Oggi gli alberi di proprietà sono 1.600, distribuiti un po’ qua e là, in piccoli appezzamenti, a Costabeorchia, Pinzano, Maniago. Le varietà riguardano le tipicità friulane: dalla Gialla di Priuso alla Ruggine di Enemonzo, dalla Striata dolce alla Rossa invernale, e altre ancora.
Per raggiungere questo traguardo, è stata decisiva una chiacchierata, nata per caso, con un rappresentante di collanti per piastrelle, residente a Merano, capitato nel laboratorio artigiano di Siega. L’interlocutore era una persona che di frutta se ne intendeva, vista la sua provenienza dalla regione dei meleti.
In Alto Adige tutto parla di mele. «Il discorso è caduto lì. Gli ho chiesto a bruciapelo – ricorda Christian Siega – che cosa avrei potevo fare di tutto quel bendidio che cominciavo a raccogliere. È nato così l’accordo per una visita in quelle zone, laddove della frutta non si scarta nulla.
Ci sono meleti in ogni spazio libero. Ero interessato soprattutto all’arte della trasformazione, anche perché le varietà di Costabeorchia sono fuori mercato. Sono rientrato a casa con le dritte giuste».
La sperimentazione in laboratorio. Le prime prove sono state effettuate con metodi un po’ improvvisati, utilizzando mele comprate al supermercato.
Si trattava di capire soltanto il meccanismo di come fare i succhi di frutta. «Pian piano ho preso coraggio – ricorda Siega – e ho fatto il salto di qualità con l’uso delle mie mele. Dalle prove sono uscite le prime 70 bottiglie riservate a parenti e amici.
Chi meglio di loro poteva fare da cavia? Risultato finale: promozione a pieni voti». Così è cambiata, passo dopo passo, la vita della famiglia. Parola d’ordine: lavoro e ancora lavoro. Piastrelle da posare nelle case dei clienti e mele da coltivare.
Un massacro, senza più tempo libero. La nuova attività imprenditoriale si è sviluppata in un paio di locali improvvisati, compreso il garage, nell’abitazione dello zio, tra le case di Campagna, una frazione del Comune di Maniago.
L’avventura, sotto il marchio “Borgo delle mele”, ora alimenta una linea ininterrotta di prodotti. Christian e Serena ci hanno creduto, investendo tutto quello che avevano nelle apparecchiature necessarie.
Così gli ingranaggi della trasformazione della materia prima non si sono più fermati: 10-12 mila bottiglie l’anno solo per le mele proprie, poi ci sono quelle conferite da piccoli coltivatori che credono al progetto. I locali dello zio non sono più sufficienti a contenere l’esuberanza imprenditoriale.
«Entro l’anno – annunciano con un piglio di orgoglio – l’attività sarà trasferita in un capannone rimesso a posto nelle campagne di Valeriano». Così potranno macinare ancora futuro: «Il sogno è di creare qualche posto di lavoro».
Nel frattempo, dal laboratorio di Campagna continua a uscire di tutto per soddisfare un mercato per lo più friulano (60 per cento delle vendite), ma che si sta estendendo, per la quota residua, a Veneto, Emilia Romagna e Toscana.
Christian e Serena ci aggiungono la classica ciliegina sulla torta: «Qualcosa stiamo vendendo anche in Francia, per effetto di un approccio più massiccio al mondo dei social network».
Il vasto campionario delle offerte è raccolto in un agile dossier ricco di immagini e di informazioni: i succhi (anche in bottiglia magnum) in più versioni, dalle mele antiche nella concentrazione massima alle mele trattate con lo zenzero, quest’ultima bevanda è il fiore all’occhiello dell’azienda premiata sia in Austria, al concorso internazionale Alpe Adria, sia in Friuli, a Pantianicco; poi ci sono le varie confetture sempre a base di mele; infusi di ogni tipo; le numerose confezioni di frutta mista disidratata; gli squisiti dolci fatti di spicchi di mele rivestiti di finissimo cioccolato.
Non soltanto mele. Il ripristino delle coltivazioni di una volta costituisce il volano economico per luoghi dimenticati.
La pedemontana è anche la terra eletta degli ortaggi, soprattutto delle cipolle, in particolare quella rossa di Cavasso e quella rosata della Val Cosa, due varietà che esaltano i sapori e i profumi del territorio, un toccasana contro lo stress.
Come poteva mancare l’interessamento del “Borgo delle mele” a una riscoperta anche di queste specialità? Tanto più che tra le disponibilità dell’azienda c’erano ancora alcuni campi a Pinzano, ora destinati proprio alle cipolle (16 mila piantine l’anno), nel rispetto delle regole fissate dal presidio Slow Food.
È un altro modo per recuperare i vecchi saperi della vita nei campi: la semina in primavera, la raccolta a fine agosto rigorosamente a mano, la conservazione in luoghi bui e aerati.
Le cipolle grandi vengono vendute al dettaglio secondo metodi e usanze del luogo: a trecce di lunghezza variabile; quelle piccole sono destinate invece alla trasformazione in prodotto agrodolce, oppure in composta di cipolle e mele, che gli chef della zona consigliano con carni bollite e formaggi.
C’è quindi un filo sottile che tiene insieme le proposte del “Borgo delle mele”: è quello del legame dei frutti della terra con i valori della pedemontana friulana. Si consolida una filosofia di vita che rafforza le radici in luoghi difficili, dai quali forse si scapperà un po’ meno.
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