I milioni degli emiri per comprare i nomi dei templi del calcio

Mezzo miliardo al City da Etihad, 280 milioni Emirates per l’Arsenal Da noi l’ha fatto solo la Mapei. La Juventus invece ha rifiutato Conad

UDINE. Se anche il Santiago Bernabeu, tempio del calcio madridista e mondiale, volerà prossimamente con Emirates, figuriamoci se il Friuli non può viaggiare su una Dacia.

Devono aver pensato così in casa Udinese, raccogliendo la candidatura del marchio low cost della Renault per sponsorizzare l’impianto dei Rizzi, sottovalutando forse l’impatto di quella “corazza” di cemento inagurata il 27 settembre 1976 che nell’immaginario collettivo è lo stadio del dopo terremoto, della rinascita, per questo fu chiamato semplicemente Friuli e ispirò parole lontane anni luce dal calcio business, dalle marche di merendine che negli Stati Uniti per prime diedero in nome agli impianti di baseball e football americano: «L’arco si eleva dalla terra ma non tocca il cielo, piega su se stesso, a difesa di chi ci sta sotto. Non un ponte verso le nuvole, ma un guscio a proteggere gli uomini».

Altri tempi? Può darsi, ma la memoria e la storia trovano ancora posto nel cuore dei tifosi. Sotto qualunque bandiera. Cinque anni fa, la Juventus rifiutò un’offerta della Conad per non trasformare il vecchio Delle Alpi ristrutturato in un ipermercato del Pallone. Finora a Torino si sono accontentati del nome Stadium, ma in futuro potrebbero cedere alle avances din una grande multinazionale, alcuni dicono la Samsung, già entrata tra i partner sponsor dei campioni d’Italia.

Nel nostro paese non ci sono molti impianti “venduti” a un marchio: in serie A fondamentalmente soltanto il Mapei Stadium di Reggio Emilia, acquistato all’asta dal patron Giorgio Squinzi, presidente della Confindustria, e nuova casa del Sassuolo. Ma tra poco potrebbero fiorire decine di intitolazioni spot, di pari passo con la realizzazione di nuovi impianti di proprietà dei club.

Nel resto dell’Europa questa non è una rarità. L’Udinese l’ha toccato con mano nel corso degli anni, giocando le coppe alla Signal Iduna Park, il Westfalenstadion di Dortmund, o alla Bayer Arena, la “tana” del Leverkusen, squadra del colosso farmaceutico tedesco, o ancora all’Emirates Stadium – l’onnipresente compagnia di Dubai – a Londra, contro l’Arsenal che dal 2004, per vent’anni, incasserà 280 milioni di euro dagli “emiri volanti”.

Quello dei Gunners è uno dei tanti impianti inglesi sponsorizzati, anche in provincia: si va dal Britannia Stadium di Stoke-on-Trent alla Sports Direct Arena di Newcastle, perfinire con il Manchester City, che riceverà la modica cifra dimezzo miliardo per dieci anni da Etihad, in tackle commerciale su Emirates che potrebbe tuttavia rispondere tra breve raddoppiando gli investimenti in Inghilterra con un autentico tempio del football, Anfield Road, lo stadio del Liverpool che ha bisogno di oltre cento milioni per ristrutturare la propria casa. Chissà se il burbero Bill Shankly, allenatore icona dei Reds, gradirebbe giocare a Emirates Road. Orrore.

L’Inghilterra e la Germania viaggiano in prima fila in quest’affare milionario, come testimonia un colosso come l’Allianz Arena di Monaco di Baviera, stadio di Bayern e Monaco 1860 costruito grazie alle sovvenzioni private del gruppo assicurativo tedesco che per 30 anni accenderà la propria insegna prima e durante le partite delle due squadre cittadine.

O quasi sempre: l’Uefa, la federazione europea, non ama farsi soffiare gli sponsor durante le gare della ricca Champions League e così – curiosità – in occasione degli appuntamenti internazionali il logo non viene illuminato. Un altro chissà: se l’Udinese si piegherà davvero al brand naming Dacia e tornerà nelle coppe (augurio), potrebbe essere quella l’unica occasione per riascoltare il nome del Friuli.

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