I medici: l’ha uccisa perché si rifiutava di diventare succube
di Domenico Pecile
Entrambi con il male di vivere. Entrambi con la voglia di amare. Entrambi in cura da anni al Centro di salute mentale di Gemona. Entrambi alla ricerca di un domani da dipanare tra le nebbie delle paure. E da ieri entrambi inghiottiti dalle tenebre. Lei non c’è più. Lui, soltanto fisicamente.
Si erano conosciuti proprio al Csm. Un rapporto altalenante, il loro: figlio della sofferenza e parente stretto di due culture diverse. Si erano sposati con rito islamico lo scorso 30 marzo. La dote – si legge nella dichiarazione di matrimonio – è stata fissata in un “anello d’oro”. E in calce la scritta a mano “La fedeltà per tutta la vita”. Da quei giorni qualche cosa è cambiato in lui. Quel matrimonio – spiegano Mauro Asquini e Valentina Pera, rispettivamente responsabile del Csm e medico curante di Giulia Candusso – è stato come una miccia. «Yassin è cambiato. La conflittualità è aumentata. Lui riteneva che Giulia fosse diventata quasi un suo oggetto. Pretendeva da lei regole e comportamenti da cultura islamica. Lei aveva percepito questi rischi e si stava un po’ chiudendo. Lui insisteva per sposarla in municipio anche con rito civile. Lei, forse, dapprima aveva accettato, ma in questi ultimi giorni aveva pensato di dirgli di no».
Quel “no” forse è stato deciso l’altro ieri in un incessante tam tam di telefonate tra i due. Quel “no” forse ha amplificato la sofferenza di Yassin trasformandola dal male di vivere nel desiderio di distruggere “l’oggetto del desiderio”. La dottoressa Pera esclude un nesso di causa-effetto tra la sofferenza mentale e l’esplosione di violenza culminata in un delitto brutale. «In questi mesi – spiega – abbiamo lavorato con lui per spiegargli che Giulia pur avendo accettato il rito islamico non intendeva soggiacere a tutte le regole che lui avrebbe voluto imporle. Lui per tutta risposta è diventato ancora più possessivo, geloso, sospettoso. Probabilmente ci ha vissuti come complici di lei nel convincerla a rifiutare il passo del rito civile».
Già, ma è lecito corretto parlare allora di un delitto che ha più una matrice culturale che psicopatologica legata allo stato di sofferenza di un uomo in cura da circa dieci anni? Sia Asquini che la Pera non hanno dubbi nel ritenere che la vera molla dell’esplosione omicida si sia nutrita principalmente del disagio culturale di Yassin che voleva accanto a sè una Giulia remissiva, obbediente, deferente, silente. Una donna della sua cultura, probabilmente. Eppure, non tutti la pensano così. Milena, che lavora in un piccolo supermercato di Osoppo, sostiene senza mezzi termini che Yassin è stato lasciato solo dal Csm, che da tempo soffriva parecchio e che aveva già avuto terribili crisi violente. «Sentiva delle voci, soffriva, ma al Centro non lo hanno aiutato a sufficienza. Io - dice ancora – l’ho conosciuto come un uomo educato, galante, inghiottito nella malattia anche da problemi di lavoro». Secca la replica della dottoressa Pera: «Spesso abbiamo bisogno di dare delle colpe per non ammettere che ci sono anche persone cattive».
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