I due volti del pedofilo nascosto per 11 anni

Coro parrocchiale, cammino di Santiago ma anche violenze e il cane Hitler. Una giornata a Claut per capire come mai nessuno ha sospettato nulla.
12.07.2002- Violenza e abusi su minori. Bambini matrattati, pedofilia, abusi sessuali. Nella foto attenzioni particolari di un genitore. (D1x) Digitalfoto Ti-Press/Davide Agosta 2002
12.07.2002- Violenza e abusi su minori. Bambini matrattati, pedofilia, abusi sessuali. Nella foto attenzioni particolari di un genitore. (D1x) Digitalfoto Ti-Press/Davide Agosta 2002

CLAUT. La galaverna che avvolge Claut a metà mattina sembra una coltre sotto la quale si cela il mistero dell’orco della Valcellina. Così è stato chiamato “lui”. Loro, però, i clautani, non lo chiamano per nome. Ma uno sguardo che taglia, come il freddo che punge da giorni, è sufficiente per definirlo. Non hanno metabolizzato, i clautani, lo choc che li ha colpiti martedì all’alba, quando i carabinieri hanno bussato alla porta di quell’insospettabile «gran lavoratore» che era solito partire al mattino presto per tornare a casa quando il sole era già sceso dietro le Dolomiti friulane.

Non aspettatevi difese, ma neppure accuse. Non per omertà. Più semplicemente perché sorpresa e stupore non hanno ancora ceduto le armi. Lui, il 51enne autotrasportatore ora in carcere a Pordenone, fino a cinque giorni fa era con e tra loro, «uno di noi»: in piazza, nei bar, in chiesa, spesso col suo cane bastardino che, dicono qui, l’avesse chiamato Hitler. «Socievole, una grande persona, sempre pronto a dare una mano, insospettabile». Lo sguardo interrogativo di una barista accompagna il rosario di buone qualità, davanti al giornale aperto alla pagina “giusta”. «L’apparenza inganna? Non so cosa pensare». Si volta verso l’esterno, dove l’abete natalizio non ancora addobbato è già stato messo in piazza. Attorno ci giocano con un pallone rosa alcuni bambini, sul selciato umido, ma non ghiacciato grazie al sale depositatosi nelle fughe. «Sono i nostri figli», dice orgogliosamente una donna, fissandoli, in silenzio, attribuendo un doppio merito ai carabinieri: avere scoperto un fenomeno carsico laddove i torrenti Cellina e Settimana scorrono quasi sempre alla luce del sole e avere saputo erigere una inviolabile cortina di riserbo e protezione attorno alle vittime. Come la conta dei danni dopo l’alluvione, aumentano di giorno in giorno, a quota 18 nelle ultime ore.

«Non può essere possibile, lo conoscono tutti, vedremo se è vero», racconta «incredula» una commessa, da diversi anni salita nel cuore della Valcellina. Risponde perché sollecitata, quando le clienti – donne del paese dai tratti dolci e dai modi gentili, che hanno generosamente depositato pesanti borse gialle riempite di alimenti a lunga scadenza per il banco alimentare – sono già uscite. Del resto un po’ di clautani li trovi lì: nei negozi, nei bar, in piazza, «ma non sono i posti giusti per parlarne».

I turisti torneranno per Natale, così come in estate. Troveranno il museo della casa clautana, le orme del dinosauro, moderni impianti sportivi che nel 2003 hanno ospitato le Universiadi e all’inizio di quest’anno anche i campionati mondiali di sci-alpinismo. «Ecco – ragiona un clautano – forse abbiamo sbagliato in questo. Ci siamo tanto dedicati allo sport e forse ci siamo dimenticati di noi. Prima abbiamo perso la stazione carabinieri, ora rischiamo anche quella forestale. E la società: quante separazioni ci sono? Perché alcuni ragazzi si ubriacano? Dove sono i loro genitori? Perché un bambino di 8 anni usa internet quando dovrebbe avere per mano ancora l’album dei disegni?». Domande che si possono porre a Claut come a Pordenone. La tecnologia ha superato tutte le barriere, anche quelle geografiche, bypassando la rete di protezione familiare. «In questa piazza noi c’eravamo con “lui” – racconta un gruppo di trentenni –. Ma a 10-15 anni eravamo nel bosco a tagliare legna, a fare baracche, nella stalla a mungere mucche. Non a chiedere soldi ai genitori per la ricarica del cellulare o a navigare sul computer, iscritti a Facebook».

La gente di Claut non aveva bisogno anche di questo, dopo avere avuto i fari puntati, alcuni anni fa, per un omicidio e un presunto infanticidio mai chiarito. «Dobbiamo interrogarci», dice il parroco, don Davide Corba. Domani è atteso il vescovo, monsignor Giuseppe Pellegrini. «Lo conosceremo e ci attendiamo una sua parola pastorale». Don Davide non parlerà di “lui”, oggi, durante le messe: «Costernazione è stato il primo sentimento; stupore, incredulità, dispiacere. Era talmente grossa, questa notizia, che pareva incredibile». Fa un «appello alle coscienze: prudenza e delicatezza». A tutti: «Perché chi è vittima non lo sia di nuovo». Possibile che “lui” abbia potuto agire undici anni, come sospetta la procura, senza destare alcun sospetto, visto che viveva il paese e non certo ai margini della valle? «E lei sospetterebbe di un gran lavoratore che si alzava all’alba, che quando avevamo bisogno della sabbia per il campo del beach volley day si è offerto di portarcela gratis col suo camion? Che se gli chiedevi un favore, fatica, lo faceva subito, quasi offeso se lo ringraziavi?», domanda un clautano. «Mi ha prestato la macchina decine di volte, lei trova ancora gente così generosa? Io no», rimarca.

Le accuse sono pesanti. «Non ho una immagine di quest’uomo con un ragazzo, con un adolescente. Eppure ho la finestra in piazza», aggiunge il parroco che scandisce: non aveva incarichi in parrocchia e «se solo avessi avuto un minimo sentore, una confidenza di un genitore, mi sarei immediatamente mosso». Non andava a messa regolarmente, ma del resto è tipico degli uomini da queste parti, negli ultimi due anni frequentava il coro parrocchiale che canta nella chiesa di San Giorgio nelle “feste grandi”, ma aveva pure percorso, tre mesi fa, il cammino di Santiago di Compostela. Insospettabile, stimato. Forse con «una doppia personalità», denunciano 18 ragazzi. «Perché non l’hanno mai detto prima? Vergogna? Paura? Bisognerebbe essere in loro. “Vendersi” per pochi euro? Mi sa più di ricatto», dice un giovane. I dubbi restano, «tanto più in una piccola comunità, un migliaio di anime, dove si sa tutto di tutti, dove siamo quattro gatti». Chiosa il parroco: «Mi spiacerebbe ci fosse una identificazione del paese con questo evento. Claut ha radici profonde e gente sana che cammina a testa alta. Non avverto un clima disfattista e depresso». Annuisce il sindaco, Gionata Sturam, che non intende riparlarne.

E’ già metà pomeriggio quando lasciamo Claut. Da lontano si vedono i camini fumanti. Saluta un giovane impegnato in consiglio comunale: «Ci vede, ci ha visti. Siamo qui, vogliamo restare qui, impegnarci per il paese, accogliere i turisti. Per noi è stato come ricevere un pugno in faccia». Non c’è dubbio. Restano impressi anche quei tratti dolci e sereni delle madri di Claut al banco alimentare, i ricordi di una insegnante ormai lontana dalla valle: «Io in quelle scuole ho insegnato, ho conosciuto bambini stupendi e genitori rispettosi. E di loro serberò sempre un tenero ricordo».

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