Grande folla nel duomo di Udine per l’estremo saluto ad Adriano Biasutti, «Uomo delle grandi scelte»

Moltissimi politici e amministratori, ma anche tanti comuni cittadini, hanno partecipato all'estremo omaggio reso ad Adriano Biasutti, ex presidente della Regione Friuli Venezia Giulia ed ex deputato democristiano sia nella camera ardente, sia nel duomo di Udine dove è stata concelebrata la messa.
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UDINE.
Il richiamo alla «memoria del futuro» che Mino Martinazzoli accorda soltanto ai politici capaci di lasciare un segno ha fatto sí che ieri in duomo a Udine Adriano Biasutti ricomponesse tutti i frammenti della sua Dc nell’attimo fondamentale del commiato. Ma il lascito della sua azione di governo ha suscitato una suggestione piú grande e anche gli alleati di un tempo, piccoli e grandi rappresentanti delle forze del pentapartito, si sono uniti al popolo della Prima repubblica che occupava le navate. La perentorietà della sua leadership, esercitata con il decisionismo di un tempo lontano, ha però compiuto il capolavoro di accomunare l’intero arco costituzionale friulano, come a distoglierlo dall’oblío delle successive stagioni in salita.


E cosí, mescolati tra la preponderanza di un universo moderato, si sono visti fra la gente anche tanti “avversari-amici” dell’età politica di fine Novecento che ieri ha girato l’ultima pagina da consegnare alla Storia; una pagina scritta in ritardo soltanto per attendere il congedo dall’uomo che meglio e piú ha interpretato e condotto quella stagione.


Era dunque scritto che ai funerali del cinque volte presidente della Regione, al governo per vent’anni fino al ’91, ci fossero tutti i rappresentanti di un mondo che è stato e i solidi avamposti di quello che si misura con gli scenari rinnovati e instabili della Seconda repubblica. Un universo di solidarietà regionale certificato dall’attestazione della Chiesa friulana, che ha concelebrato la funzione con tutte le sensibilità del clero, dall’ex rettore Frilli a don Larice, il sacerdote della lotta alla droga.


Lo hanno portato a spalla i figli Stefano e Cesare e gli amici dello scudo crociato, da Giorgio Santuz con il quale cominciò a fare politica a Tiziano Venier suo segretario e poi presidente di Provincia, a Enzo Cainero, al medico Fausto Zanelli che testimoniava il radicamento con la Bassa delle radici, con la sua Palazzolo dello Stella. Una bandiera un po’ stropicciata, carica di storia, lo ha accolto sbucando tra i gonfaloni della Regione, della Provincia e del Comune. Era quella dello scudo crociato degli anni della maggioranza relativa, gelosamente custodita da Francesco Girelli, il primo funzionario dc della storica sede udinese di vicolo Gorgo.


Come una predestinazione, davanti all’altare, attorno al feretro ricoperto con un Tricolore e un mazzo di fiori bianchi, tutti hanno preso il posto di sempre, come volessero ricreare lo storico emiciclo di piazza Oberdan, il palazzo della Regione. Al centro, attorno ai familiari (i figli e Maddalena Simonutti), tanti colleghi dc, i parlamentari Agrusti e Santuz, il senatore Toros l’allora segretario Bertuzzi; vicini, in un’altra fila, l’ex presidente doroteo Giancarlo Cruder, il senatore della Bassa Micolini, gli assessori Molinaro e Riccardi, Benvenuti e Sandruvi, storici sindaci di Gemona. Appena piú lontano, il senatore Saro, l’imprescindibile alleato dell’epopea Dc-Psi. All’altro lato, i rappresentanti delle istituzioni: il presidente Tondo, il sindaco Honsell, il presidente della Provincia Fontanini, l’europarlamentare Collino, il presidente del consiglio Ballaman, l’amico ex presidente Turello; a sinistra, piú lontano anche se sempre idealmente vicino, l’ex presidente della Regione Renzo Travanut, un po’ come ai tempi della leale contrapposizione Pci-Dc.


Sullo sfondo, sparsi un po’ dovunque tra il popolo di amministratori e tanti ex, drappelli di sindaci, volutamente cinti della fascia tricolore, compresi i capifila di Gorizia e di Pordenone, Romoli e Bolzonello, e della città ducale, Vuga. Ai margini, lungo le navate, gli ex giovani dc come Fratte e Damele e gli alleati di sempre, i repubblicani di allora con Barnaba e Balestra, i socialdemocratici come Cisilino, i liberali di Ortis, i socialisti come Zanfagnini o Gianfranco Carbone, l’ex vicepresidente cui, guardandosi intorno, sfugge la constatazione: «Riecco il pentapartito, che è ciò che Adriano ha rappresentato».


Gli avversari d’un tempo o i sopravvenuti sono lí, ma piú appartati. L’ex presidente Sergio Cecotti siede dietro l’altare; Arnaldo Baracetti, storico deputato del Pci, è nella corsia centrale, in piedi tra la gente: «Abbiamo baruffato tante volte – commenta –, ma lui ha sempre costruito: ci univa la constatazione che si era tutti friulani e si lavorava per la nostra gente. Averne di persone cosí con cui litigare per fare bene le cose». L’Udc Edoardo Sasco sale all’altare per una lettura, il leader degli artigiani Faleschini si unisce al coro intonando l’Osanna, il mondo delle istituzioni segue composto e partecipe: si distinguono il presidente dell’Assindustria Luci, l’industriale Giovanni Fantoni, il presidente della Filologica Pelizzo, l’ingegner Parmegiani.


Adesso al popolo del pentapartito radunato in duomo manca solo la parola. Gliela danno Michelangelo Agrusti e il presidente Renzo Tondo nei brevi discorsi di commiato. L’ex deputato cita il leader della Primavera di Praga e parla di onore politico da restituire; cita Martinazzoli e la «memoria del futuro» che si riserva solo ai politici che hanno realizzato opere concrete e durature. Tondo rende a Biasutti il merito delle scelte sempre ben intuite e dell’esercizio di un’autonomia responsabile. Evoca anche luci e ombre del predecessore, chiama tutti a testimoni che resteranno le luci e il popolo del pentapartito, che non aspettava altro, si libera in un applauso.

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