Giovanni Melchior e i segreti del castello d’Arcano

RIVE D’ARCANO. Pubblicista dal 1980, la sua opera prima più impegnativa, dopo l’esordio con un libro sulla frazione natale di Pozzalis, è stata “L’uomo e i trasporti” (sottotitolo “dalla ruota al Concorde, passando per...il tram di San Daniele”). L’ultima (ma sarebbe meglio dire la più recente) è “Il castello d’Arcano”, appena sfornato dalla Designgraf di Campoformido. E in mezzo, Giovanni Melchior ci ha messo 33 anni di sindaco di Rive d’Arcano (che diventano 50 come presenza – i periodi di consigliere e assessore – al Comune), 11 anni come presidente della Comunità collinare, 10 della Società operaia e ben 21 dell’Anbima, l’associazione delle bande musicali.
E non dimentichiamo che per 24 anni ha fatto, come secondo “mestiere” dopo il sindaco, il macchinista delle Ferrovie. “Dovevo pur vivere!”, si giustifica ricordando che «le indennità istituzionali allora erano minime o inesistenti...».
Insomma, Giovanin di Rives, come lo chiamano familiarmente nel Sandanielese, continua a dedicarsi ai libri. Arrivato ai novant’anni, ha chiuso col Comune e con...le presidenze per dedicarsi a scrivere e a fare ricerche. Il castello d’Arcano sarà presentato domani, alle 20.30, nella sala consiliare di Rive dal professor Marzio Strassoldo, già presidente del Consorzio dei castelli friulani (letture di Eddi Bortolussi).
È l’anello che mancava, forse il più prezioso della catena pubblicistica di Melchior che ha passato in rassegna una galleria di personaggi, dal primo castellano citato (Leonardo di Corno, 1161), all’attuale proprietario ingegner Domenico Taverna «che ha riscattato dal degrado questo patrimonio storico - culturale» (così si legge nell’intestazione), al quale il libro è giustamente dedicato.
Al centro delle vicende raccontate dall’ex sindaco ci sono i signori di Arcano, una famiglia di origini germaniche, una delle più potenti del Patriarcato, che venne coinvolta nei fatti storici più clamorosi: dal complotto contro Bertrando alla rivolta contadina del 1511. L’ultimo degli Arcano, che diedero al feudo un notevole sviluppo agricolo, fu il conte Orazio, morto nel 1929.
Gli subentrò il genero Giacomo Margreth. Dal 1958 il complesso castellano passò ai Taverna, prima l’onorevole Archimede e poi il figlio Domenico. Quest’ultimo restaurò il castello dopo il terremoto aprendolo ai visitatori e, tra l’altro, ripristinò la processione del Corpus Domini, che per alcuni anni richiamò moltissimi fedeli.
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