Gino Valle, un segno minimalista nella natura

Fabbriche, uffici, abitazioni: il lascito del maestro udinese in Friuli Venezia Giulia e nel mondo in un volume Electa che raccoglie una grande avventura progettuale
Sull’autostrada per Venezia, in prossimità del casello di Portogruaro, si profilava fino a poco più di un decennio fa la plastica compattezza dello stabilimento Dapres (poi snaturato da modificazioni e aggiunte), realizzato nei primi anni Settanta da Gino Valle (Udine 1923-2003). Il dado rettangolare, rivestito di verdi pannelli resi vibranti da fitte rigature diagonali, conteneva il senso di vastità della pianura increspata dalla vegetazione nella cornice trasparente dei monti lontani. L’eco delle scansioni geometriche modulate da Mondrian, al quale l’autore si ispirò nei dipinti giovanili, stabiliva con il paesaggio un rapporto di cristallina rilettura mentale. Qualche chilometro più avanti sorge, connotato dai medesimi criteri, il Centro distributivo Bergamin
(1978-1980), una composizione di cubici volumi rossi e neri. E sulla statale per Palmanova spicca nitido nella campagna il dado blu dello Showroom Geatti (1973-1974).


Le tre opere esemplificano con nitore minimalista un modo assolutamente originale di fare architettura. Pure macchie nel paesaggio ridotte alla forma astratta di grandi oggetti colorati le definiscono Pierre-Alain Croset e Luka Skansi nel volume
Gino Valle
, edito da Electa nella collana
Documenti di architettura
. Il libro (396 pagine – 75,00 euro) ricostruisce in 16 capitoli tematici corredati da 75 schede la complessa attività progettuale di una delle personalità più originali e creative dell’architettura europea del dopoguerra, tracciando diversi percorsi di lettura attraverso i contesti geografici, i caratteri formali, i linguaggi costruttivi. Gli autori si avvalgono di due tipi di fonti documentarie. Da una parte, l’archivio del padre, Provino, anch’egli architetto, dal quale Gino acquisì la solida pragmaticità professionale, pur se i disegni, precedenti alla laurea conseguita nel 1948 a Venezia, all’Istituto Universitario di Architettura, dove fu allievo di Carlo Scarpa e di Giuseppe Samonà, ne documentano già personali scelte linguistiche. Dall’altra, lettere, manoscritti, fotografie, disegni, appunti diaristici.


Le qualità «tattili» di Valle nascevano dal «possesso fisico» del luogo e si sviluppavano nella lunga elaborazione destinata a completarsi soltanto con la chiusura del cantiere. La ricerca si misurava ecletticamente di volta in volta con le esperienze internazionaliste, la tecnologia, la tradizione, l’ambiente. Per l’udinese Gino Valle, colto, raffinato, antiaccademico e antidogmatico “maestro senza maestri”, la professione era impegno assoluto. La concezione del mestiere come grande artigianato lo avvicinava ad Alvar Aalto e alla cultura del pragmatismo angolosassone. In Aalto aveva scoperto il «discorso della non forma», qualcosa da concepire come «derivazione dalla natura».


Nell’anno trascorso negli Stati Uniti Valle studiò con Walter Gropius, conobbe Mies van der Rohe, visitò le opere di Frank Lloyd Wright. Rientrato in Italia, assunse l’incarico di assistente ai corsi internazionali estivi all’Istituto di Architettura di Venezia e nel 1954 cominciò la docenza universitaria. Nel contempo entrava nel mondo dell’industria come designer. Vinceva il Compasso d’oro, per la Solari, nel 1956 con l’orologio elettrico
Cifra 5
e nel 1963 con i
Telei
ndicatori alfanumerici
, e, per la Zanussi, nel 1962 con la
Cucina Rex
. Fra le prime realizzazioni architettoniche figurano la
Casa di vacanza per la Cooperativa Muratori
a Lignano (1948-1949), su progetto presentato come tesi di laurea, e l’udinese Veranda Romanelli
(1952-1953), in viale Venezia, applicata con moderna leggerezza a una vecchia villa padronale. Negli anni Cinquanta, Valle si avvicina a soluzioni neo-brutaliste.


In
Casa Migotto
, alla periferia di Udine, dodici pilastri in cemento armato generano un reticolo tridimensionale che delinea il volume dell’oggetto, all’interno del quale è inserito l’involucro dell’abitazione: reticolo e involucro sono nettamente separati sia dal punto di vista fisica fisico che materico. La
Casa Bellini
, in via Bezzecca sempre a Udine, si impone con la compattezza di rustico, grezzo fortilizio serrato da murature in cotto. Lo
Stabilimento Arti Grafiche Chiesa
a Tavagnacco, sviluppato in lunghezza, coniuga armoniosamente il muro in mattoni con il muro in cemento armato al secondo piano, in continuità monolitica con il tetto, assumendo solidità e forza formale.


Nell’udinese
Casa ed ex clinica Nicoletti
ai tamponamenti in mattone e alle vetrate di lontane ascendenze inglesi si aggiungono massicci pilastri in cemento, con effetti di grande fluidità spaziale. Nella ristrutturazione della
Sede centrale della Cassa di Risparmio
, cui collaborarono Provino e la sorella Nani, il cortile interno venne trasformato in arioso, trasparente, salone per la clientela, coperto da un velario che filtra la luce naturale. A Sutrio
Casa Quaglia
contrappone dialetticamente l’aggancio alla realtà locale del grande tetto a quattro falde, sostenuto da pilastri in mattone che sembrano nascere dal terreno, e il parallelepipedo bianco, come sospeso, dell’abitazione.


Il
Municipio
di Treppo Carnico riprende il carattere di “chiusura difensiva” delle due palazzine udinesi, in continuità strutturale con la restante architettura del paese. A Trieste la
Torre per abitazioni e uffici Vriz
presenta una facciata sottilmente chiaroscurata dalla fitta trama di irregolarità volumetriche e a Udine l’
Edificio residenziale
di via Marinoni sviluppa, con levigata chiarezza, etimi costruttivisti. L’
Ospedale civile
(1954-1968) di Portogruaro si pone quale forte segno di connotazione urbana, così come, con maggiori e più complesse funzioni e dimensioni, diverrà quasi vent’anni dopo il
Centro direzionale
di Pordenone.


Gli
Uffici Zanussi
a Porcia (1957-1961) portarono Valle alla ribalta della critica internazionale. Le aggettivazioni strutturaliste, richiamanti stilizzate murature medievali, traducono la realtà del lavoro industriale in narrazione formale eroicamente scandita. Con la Zanussi l’architetto collaborò anche nella razionalizzazione del processo produttivo e nel design (così come farà per il mobilificio Fantoni di Osoppo i cui stabilimenti, apparentati figurativamente da colonnati giganti prefabbricati, ricordano i templi greci di Paestum). A Udine la sede del
Messaggero Veneto
(1967-1968) sottolinea, entro una volumetria semplicissma, un’organizzazione razionalmente articolata, che trasforma in spazi calibrati e mossi da una sorta di lucida emozionalità le funzioni connesse alla vita del giornale. Analoghe soluzioni costruttive si ripropongono, con movimentati tagli visivi, nel
Municipio
di Casarsa (1966-1970. Un ritorno al modello della scatola chiusa si ha nel
Municipio
di Sutrio (1975-1978).


Nell’udinese
Casa Manzano
(1965-1966) Valle riprende i temi abitativi. L’edificio, rivestito di colore rosso, con l’angolo spaccato da una risentita rientranza e la sporgenza del grande tetto, sembra evocare l’idea-casa tradizionale, quasi fiabesca, secondo un montaggio onirico “alla Magritte”.
Casa Chiesa
(1963-1966), in via Pordenone, affascina per l’intreccio fra chiarezza e mistero. Il fronte strada chiuso dall’ampia continua muratura in cemento lascia intuire, attraverso uno squarcio-feritoia rettangolare, incrociate dissolvenze dell’articolazione interna di ambienti chiusi e di spazi verdi, secondo uno spirito che sembra alitare dagli incantesimi dell’Estremo Oriente.


Nell’
Edificio commerciale
in via Mercatovecchio (1963-1965) il ritmo ascensionale delle strutture in carpenteria di ferro con antiruggine a vista, le vetrate che riflettono le scenografie della più importante strada cittadina, quel “colore” antico, l’aggetto del cornicione di abile manualità artigiana, assumono il significato di afferrante interpretazione del volto medievale urbano, mentre gli interni si “avvitano” con un qual lucido mistero. Ad Arta Terme lo
Stabilimento termale
(1962-1964) si erge come un castello fantastico: la copertura a pagoda filtra la favola esotica attraverso lo sguardo di Wright e gli interni appaiono modellati con plastica potenza. Il ruolo costruttivo e di relazione assunto dal colore caratterizza il
Complesso Iacp
(1975-1979) nell’udinese Quartiere Di Giusto (vi collaborò il pittore Carlo Ciussi) e il
Complesso residenziale
(1977-1979) a Buja.


La prefabbricazione come fantasioso gioco geometrico caratterizza le
Scuole Valdadige
a Bissuola (Venezia) e a Pasian di Prato. Tra le più prestigiose realizzazioni nel resto d’Italia, negli anni Ottanta, gli
Uffici direzionali Olivetti
a Ivrea, i
Palazzi di Giustizia
di Padova e Brescia, sedi bancarie della
Comit
a Milano, Venezia, Padova, la
Torre Ibm
all’Eur di Roma. Il
Quartiere popolare di Sacca Fisola
alla Giudecca, condizionato figurativamente dal vicino
Mulino Stucky
, è concepito come impianto legato ad astratte dimensioni di memoria nel paesaggio lagunare. Del 1995-1997 è il
Complesso “torri gemelle”
a Genova. La realizzazione del progetto di
Teatro
a Vicenza va dal 2000 al 2007, quella della
Deutsche Bank Italia
alla Bicocca di Milano dal 1997 al 2005. A grandi progetti di trasformazione urbana Valle lavora a Milano e a Roma.


L’architettura come sublimazione epico-lirica si era espressa nell’udinese
Monumento alla Resistenza
(1959-1969) in piazzale XXVI Luglio: un grande quadrato in cemento armato sospeso arditamente su tre sottili supporti, fiancheggiati da due quinte trapezoidali, entro un’aiola circolare. All’interno dell’aiola dense macchie d’arbusti e una conca-fontana scavata a gradoni di pietra piasentina. Al centro il monumento in ferro rugginoso di Dino, aperto da uno squarcio che inquadra la frase di Piero Calamandrei celebrante la riconquistata libertà, impressa su uno dei lati del monolite. Il totem di fuoco solidificato del Basaldella dialoga simbolicamente con il cielo ritagliato nel riquadro, con la terra, con l’acqua. Monumento come oasi totalizzante, come “autentico microcosmo”.


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