«Gasparin vittima di una ripicca»: ecco perché il giudice lo ha assolto

Un’«enfatizzazione dei fatti, condita dai toni della ripicca postuma, da parte di un dipendente che si era sentito messo in disparte».
Ecco come il giudice che ha assolto Stefano Gasparin, allora vice presidente e ora presidente dell’Asp “La Quiete”, ha definito il “memoriale” che, due anni fa, mise in moto la macchina investigativa della Procura di Udine, finendo per costare a lui e al direttore generale, Salvatore Guarneri – a sua volta prosciolto, con sentenza di non luogo a procedere –, l’accusa di concorso in concussione ai danni di un loro funzionario.
E cioè di colui che, nel novembre del 2012, sentito come persona informata sui fatti nell’ambito degli accertamenti sul fallimento della “Promoservice srl”, consegnò agli inquirenti un documento nel quale raccontava delle presunte pressioni che i due avrebbero esercitato su di lui tre anni prima, in quanto responsabile del procedimento per l’ammissibilità delle domande per la nomina del nuovo direttore generale della Quiete, per garantire a Guarneri, all’epoca soltanto direttore sanitario, l’assegnazione di quell’ulteriore poltrona. Incarico che Guarneri, di fatto, poi ottenne.
L’accusa della Procura
L’incontro finito incidentalmente negli atti del fascicolo su Promoservice e diventato a sua volta il perno della successiva inchiesta a carico dei vertici dell’Asp di via Sant’Agostino risale al maggio del 2009.
L’ipotesi sostenuta dal pm Marco Panzeri era che Gasparin e Guarneri fossero arrivati al punto di minacciare il funzionario, pur di fargli eliminare dalla bozza del verbale che sarebbe stato poi sottoposto al Cda una frase relativa ai requisiti dei candidati. Frase che, a loro dire, avrebbe precluso la scelta di Guarneri.
Nel farlo, avrebbero usato toni imperativi, lasciandogli intendere «conseguenze amare» qualora non avesse provveduto a emendare il testo e, il solo Gasparin, aggiungendo che per lui era giunto il momento di «cambiare aria», perchè i suoi uffici cominciavano «a puzzare».
La sentenza in abbreviato
Certo fin da subito di trovarsi di fronte a «una contestazione che non sta in piedi», in udienza preliminare il difensore di Gasparin, avvocato Marcello Perna, di Trieste, aveva optato per il rito abbreviato. E lo scorso 17 luglio il gup Francesco Florit gli aveva dato ragione, assolvendo l’imputato con formula piena «perchè il fatto non sussiste», a fronte della richiesta di condanna del pm a 1 anno e 10 mesi di reclusione.
Analoghe le conclusioni per Guarneri, nei confronti del quale il giudice ha dichiarato invece il non luogo a procedere. Venuta meno l’accusa di concussione, per il direttore generale restano tuttavia in piedi le ipotesi di tentato abuso d’ufficio e di truffa ai danni dell’Inps, per le quali è stato disposto il rinvio a giudizio e fissata nel prossimo 15 gennaio la data d’inizio del processo.
Il memoriale del funzionario
A suonare stonata al giudice è stata innanzitutto la tempistica delle dichiarazioni con cui il funzionario aveva denunciato una vicenda così datata nel tempo. Non lo aveva fatto all’indomani dell’incontro e neppure dopo la conclusione del rapporto di lavoro con la Quiete.
E quando vi aveva fatto cenno, in occasione del primo dei due interrogatori ai quali era stato sottoposto per il caso Promoservice, non aveva affatto enfatizzato l’episodio. La “svolta” sarebbe arrivata soltanto sei mesi dopo, con tanto di memoriale. La ragione? Semplicissima, secondo il gup. «Ricordava certo l’umiliazione per le sgradevoli parole usate verso di lui e per l’invito ad andarsene. Ma tutto finiva lì, perchè evidentemente si era trattato di nulla più che incontro di lavoro dai toni concitati».
I dubbi del giudice
Una ricostruzione «non genuina», dunque, e predisposta a bella posta, per screditare il suo ex vice presidente. «Non sfugge l’orientamento diretto a rappresentare Gasparin come un mestatore e un trafficone – scrive il giudice nelle motivazioni della sentenza –. Vuoi per favorire l’assunzione di giovani donne “di bella presenza” nella srl, vuoi per il proselitismo politico a favore del partito di cui era rappresentante, la condotta di Gasparin sarebbe stata improntata, secondo il funzionario, a un “sistema palesemente clientelare”». E lui stesso sarebbe stato «addirittura perseguitato da tali “incursioni persecutorie”».
Troppo, per non fare sorgere al giudice il sospetto di trovarsi di fronte a una «narrazione enfatizzata», per quanto «non calunniosa». Innanzitutto, perchè «non v’è traccia, in atti, di alcuna opposizione del funzionario a tali ingerenze» e poi perchè lo stesso «si è anzi dimostrato piuttosto disponibile ad assecondare le richieste di Gasparin». Insomma, taglia corto il gup, «non si venga a dire che era costretto: come direttore del personale e persona di grande esperienza all’interno della Quiete, egli non era certo un pivellino che potesse essere intimorito o minacciato di licenziamento immediatoa. Avbebbe saputo bene come difendersi». La «ricostruzione autovittimistica» resa, a dire del magistrato, «non è credibile e in fondo nemmeno dignitosa».
Non furono minacce
Quanto all’episodio in sè, il giudice ha escluso potersi configurare un’ipotesi di concussione, definendolo «al più una “scorrettezza e malcostume, un atteggiamento vessatorio e ingerente”, come descritto dal funzionario stesso».
Anche perchè a chiedere il eliminare la clausola dalla bozza non era stata una persona qualsiasi, bensì l’allora vice presidente. «È bene che vi siano uffici o funzionari incaricati di predisporre delle bozze – osserva il gup –, ma a patto che il funzionario rimanga al suo posto e non pretenda di intervenire sul contenuto del documento». Nè le frasi adoperate nell’incontro paiono al giudice sufficienti a configurare una minaccia «per un dipendente come lui, ben addentro alla logica dell’ente pubblico».
E neppure crede si possa per questo parlare di demansionamento. «È del tutto naturale che, essendosi logorato il rapporto con Guarneri, il funzionario non abbia ricevuto il rinnovo dell’incarico».
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