«Garbino sapeva ciò che voleva»

«Schizoide, chiuso, introverso, fobico-ansioso». Ecco il ritratto di Nicola Garbino, 37 anni, di Zugliano, lo studente universitario fuori corso che il 17 settembre 2013 ha assassinato Silvia Gobbato, 28 anni, di San Michele al Tagliamento e praticante legale a Udine, mentre faceva jogging lungo l’ippovia del Cormôr. Lo ha tracciato lo psichiatra Calogero Anzallo, cioè il professionista incaricato dal gup del tribunale di Trieste, Laura Barresi, di stabilire se l’imputato, quando uccise la ragazza, fosse capace di intendere e di volere e se debba essere considerato una persona socialmente pericolosa. L’esito della perizia propone una “terza via” rispetto a quelle fin qui proposte dalle parti: Garbino, all’epoca dei fatti, si trovava in una condizione di «diminuita capacità di intendere e volere, che ha inciso sul suo comportamento».
Erano stati i difensori dell’uomo, avvocati Manlio Bianchini ed Elisabetta Burla, a chiedere al tribunale di procedere a un nuovo esame, dopo le conclusioni cui era approdato il consulente della Procura, lo psichiatra Vittorino Andreoli, che aveva parlato di «piena capacità di intendere e di volere», e quella dei loro consulenti, i professori Giuseppe Sartori e Pietro Petrini, che avevano concordato per una «seminfermità mentale».
Realizzato attraverso una serie di colloqui nel carcere di Verona, dove l’accoltellatore dell’ippovia è rinchiuso, il test ha evidenziato una serie di disturbi della sua personalità e una forte incapacità di relazionarsi con la società. Indicato come significativo, in particolare, un episodio di autolesionismo, dopo il quale «tutto proseguì come se niente fosse successo – scrive Anzallo –. A casa credono all’incidente e sapendo che Nicola non è un tipo espansivo, non se ne parla più». A un certo punto, Garbino decide che deve fare qualcosa «per dimostrare che non è un bamboccione. Una soluzione che gli consenta di completare gli studi, senza pesare sulla famiglia». Il progetto del tentato sequestro di persona, aggravato poi dall’omicidio - cioè l’accusa che gli ha contestato il pm della Dda di Trieste, Federico Frezza - comincia a maturare in questo momento. «Nicola grida alla vita con rabbia – scrive il perito – e quella ragazza che corre al parco rappresenta la vita, gioiosa e solare».
La conclusione cui lo psichiatra del giudice perviene esclude fermamente sia l’incapacità sia una scemata capacità d’intendere e di volere. Parlare con l’imputato lo ha convinto, piuttosto, dell’esistenza di «una ridotta capacità di autodeterminarsi» e di una «soltanto parzialmente deficienza» delle capacità di valutare le conseguenze delle proprie azioni. Garbino, insomma, sa ciò che vuole, ma non è in grado di formulare un piano d’azione adeguato per ottenerlo.
A completare il quadro saranno le perizie dello psichiatra Alessandro Meluzzi e della psicologa Erika Jakovic, i consulenti nominati dai legali di parte civile, avvocato Federica Tosel, in rappresentanza della madre della vittima, Cinzia Maria Perosa, e del fratello Paolo Gobbato, e avvocato Luigi Francesco Rossi, per il padre Adriano Gobbato. Il processo si celebra con rito abbreviato. La prossima udienza è fissata per il 20 febbraio.
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