Fra storia e nostalgia ecco tutti i segreti nella città delle rogge
A guardare le due fontane, quella di piazza San Giacomo e quella di piazza Libertà, vuote e secche di storia tangibile (a parte i bambini che giocano gioiosi intorno alla prima) non si può credere che le due panciute signorine di pietra siano state attive protagoniste di questa storia. Le altre sono le rogge, anch'esse in numero di due, una specie di yin e yang che caratterizza la conoscenza del turista della nostra città. Da sempre Udine è la città delle rogge e già saperne con esattezza quantità e percorsi, grazie all'ospite della puntata di Genius loci, l'archivista Lucia Stefanelli, ci dà una certa soddisfazione.
Chi cammina per la città ne ha questa idea che trasferisco. Da una parte c'è il rimpianto per qualcosa che non si conosce più e ci si dice «Chissà come doveva essere Udine nell'Ottocento...». Si pensa a un criterio di bellezza che, chissà come mai, è sempre perduto. E invece, a guardare mappe e documenti, ciò che ne esce è una specie di angusta città d'acqua senza respiro, con le case attaccate una all'altra, con ponticelli e puzze, perché gli afrori c'erano, eccome, dato che si scaricava di notte tutto ciò che di giorno era proibito. E non dimentichiamo il colera del 1836 che si vuole a ragione attribuire proprio a questa situazione: l'acqua malsana che scorreva lungo le vene naturali della città, le due rogge poi ramificate in canali e canaletti, era sì necessaria al lavoro energetico di pale e mulini, ma produsse 700 morti in quell'anno quando il patrimonio umano dei residenti non era che di 23 mila abitanti.
D'altra parte però c'era una gran fresca vita intorno a questo yin e yang, rilanciata con grazia nel Novecento, quella stessa che ora giace striminzita tra le smorfie dei giovani nei bar del centro.
Le rogge di Udine e Palma, entrambe nate con le acque del Torre, arrivavano ovviamente da nord. La prima sgusciava veloce in città da Porta Gemona, scendeva lungo il quartiere per poi piegare verso ovest e percorrere Borgo Santa Maria (ora via Zanon) seguendo via del Gelso, che è la strada perfettamente coincidente con la roggia sottostante. Dopo la curva di via del Sale, dove c'era un gran mulino all'angolo con piazza Garibaldi, entrava in via Grazzano e usciva dall'omonima porta per andarsene nelle campagne dopo piazzale Cella. E non dimentichiamo che alla sua destra scorreva da fine Ottocento il maschio e rettilineo canale Ledra (spesso confuso, anche da me, con la roggia), quando negli stessi anni si abbatteva lo scenario intorno: porte e cerchia muraria, quinta compresa.
E quella di Palma? Intanto diciamo, per onor di chiarezza, che entrambe circondavano il colle del Castello, erano una morbida curva intorno, e la roggia di Palma, essendo più a est, entrava in città tra Porta Gemona e Porta Pracchiuso. Contornava piazza Primo maggio, Largo delle Grazie per intenderci (dove c'erano due mulini importanti, e dove poi farà i suoi riusciti esperimenti Arturo Malignani), scendeva lungo piazza Patriarcato, seguendo quella famosa via Cavallotti di inizio Novecento, di cui il Genius ha parlato nelle precedenti puntate, e che attualmente è via Piave-via Gorghi, girava in via Manzoni, via Ciconi, per dirigersi verso sud e uscire. Là attraversava Cussignacco e, molto sinteticamente qui diciamo, lo scopo era arrivare ad alimentare la fortezza di Palmanova.
E' una storia liquida ad ampio giro, per capirci. Parla di un bene prezioso, come l'acqua, che a Udine per motivi geologici ha sempre scarseggiato. Il sottosuolo è essenzialmente ghiaioso, ecco perché si sono dovute cercare le risorse idriche altrove.
Nel caso delle rogge, a domanda l'esperta risponde che non si sa quando furono create, e questo lo sostiene nei suoi libri anche il compianto ingegner Antonio De Cillia, espertissimo in materia. Forse risalgono ai romani, fatto sta che i primi documenti che riguardano la concessione di un mulino e che cioè attestano la piena attività delle stesse, portano due date: 1217 per la roggia di Udine, 1171 per quella di Palma. Molto sinteticamente possiamo, per roboante amor visivo, affermare che agli inizi dell'Ottocento nel cuore cittadino c'erano su questi due canali d'acqua ben 41 grandi ruote idrauliche che azionavano i macchinari di alcuni mulini e filatoi, e stiamo parlando di tintori e conciapelli, di opifici in piena attività, specialmente nella zona di Borgo Grazzano e Borgo Gemona. E giusto per tornare allo scenario, quando pioveva, e ben sappiamo quanto piova in questa regione, dalle montagne e dal Torre, demiurgo di questa storia, il limo della situazione fangosa scendeva torbido fino sotto il Castello. Immaginatevi che spettacolo!
«A questo inquinamento naturale, si aggiungevano quello animale e quello umano - ci aggiorna Lucia Stefanelli - anche per la vicinanza dei letamai e la precarietà degli scarichi fognari». Altro che poetici lavatoi con le donnine intente alle chiacchiere più liete... Ma torniamo alle altre due protagoniste. Le signorine in questione, le fontane, firmate entrambe da mano felice, il famoso Giovanni da Udine, compaiono nel Cinquecento. Il problema di avere acqua pura e salubre a disposizione almeno nella parte centrale della città aveva portato alla costruzione delle nostre tonde protagoniste, alimentate da un acquedotto particolarmente ingegnoso e che attingeva alla fonte di Lazzacco. Esse però rimangono a secco già a fine Cinquecento. Ecco perché si comincia in questo periodo a pensare alle acque delle rogge per alimentarle. La storia è complessa, a leggere le fonti, tant'è che queste poverine rimangono definitivamente asciutte nel 1785. Nella vicenda arrivano poi gli austriaci e deliberano nel 1814 di riattivarle con l'acqua della roggia. Stavolta la presa d'acqua viene spostata a Borgo Chiavris dove la quota superava di quasi due metri quella delle fontane e quindi poteva farle zampillare per il principio dei vasi comunicanti.
Elena Commessatti
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yyLucia Stefanelli lavora come bibliotecaria all'Archivio di Stato di Udine e il Genius loci l'ha già incontrata nelle pagine quando abbiamo parlato di "orti urbani". Il suo lavoro dedicato alle rogge "Storia d'acque. Le rogge di Udine, patrimonio nascosto" è stato scritto insieme a Ivonne Zenarola Pastore e Silvia Colle ed edito da Kappa Vu. Molti sono i contributi scientifici dedicati all'argomento. Ricordiamo qui i lavori a firma Antonio De Cillia e per un ampio panorama storico si consulti Francesco Tentori in "Udine: mille anni di sviluppo urbano", Casamassima, 1982.
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