Fontane e statue per Mercatovecchio

L’architetto Burelli: con panchine e fioriere non si valorizza una piazza e i concorsi di idee non bastano

UDINE. «Altro che panchine e fioriere, per valorizzare una piazza servono fontane e monumenti, quelle sì in grado di stupire».

L’architetto Adalberto Burelli, consigliere comunale della civica Innovare, non ha dubbi su quale debba essere la strada per valorizzare la futura veste pedonale di Mercatovecchio. «L’arredo urbano non basta - dice - servono opere d’architettura. D’altronde chi mai si sognerebbe di mettere una panchina in piazza San Giacomo o in piazza Libertà? Quelle le possono posizionare le attività commerciali, ma i turisti non vengono certo per vedere le panchine o i dehor».

Secondo Burelli non si può nemmeno pensare che il concorso di idee «sia la panacea di tutti i mali, serve una precisa indicazione di cosa il Comune intenda per arredo urbano.

A meno che non si faccia come il Papa Clemente XII che fece costruire da Nicola Salvi (ma c’è chi sostiene sia stato lo stesso Bernini) una fontana colossale appoggiata su un fianco del palazzo dei duchi di Poli prospiciente la piazza di Trevi. E non c’è dubbio - sostiene Burelli - che l’opera abbia sorpreso e continui a sorprendere i cittadini romani assieme a milioni di turisti.

Ma in fondo la Fontana di Trevi non è che una delle oltre 2000 fontane che arricchiscono gli spazi urbani di Roma. Se penso poi che in uno dei tanti progetti elaborati per Mercatovecchio (nella foto in alto), la centralità del palazzo del Monte di Pietà veniva esaltata da una coppia di fontane che sgorgavano dal suolo al centro della strada, si capisce come, sia pur su scala minore, la scelta dell’acqua come elemento di arredo sia stata considerata elemento fondamentale dello scenario urbano come del resto le due splendide fontane che impreziosiscono le piazze più belle della città: piazza Contarena e piazza San Giacomo. Ma qui più che di arredo si dovrebbe parlare di architettura della città».

Sì alle fontane e ai monumenti quindi, no a panchine e fioriere. Burelli difende poi l’idea di trasferire o di riportare (nel caso di “Sole produttore” di Giò Pomodoro) alcune sculture “abbandonate” nella nuova piazza Mercatovecchio e anche la scelta della piasentina: «Confesso di far parte di quel nugolo di architetti che la pietra piacentina “la metterebbe anche nel caffè” semplicemente perché nel nostro territorio si è sempre fatto così: dalla nuda terra, si è passati all’acciottolato, e talvolta direttamente al cotto per arrivare infine alla pietra.

Quale pietra? Ma quella più a portata di mano o, se volete, a portata “di scarsella” come la Piasentina che, prodotta a Torreano alle porte di Cividale, piaseva ai Patriarchi che avevano trasferito la sede patriarcale da Aquileia a Cividale. Si pensi al primo nucleo di piazza Contarena (tra l’antica chiesa di San Giovanni in platea e la Loggetta degli Stipendiari) pavimentata nel 1485 dal Luogotenente Girolamo Contarini con mattoni di cotto forniti dal fornaciaio comunale.

L’opera - ricorda - venne replicata nel 1487 in piazza San Giacomo con gli stessi “mattoni usati per la piazza de Udene”. La pavimentazione di San Giacomo in mattonato durò al 1731 quando si deliberò di sostituirla con lastre in pietra piacentina.

È accaduto così in tante piazze italiane: nel Triestino con la pietra di Aurisina, nel Padovano con la Trachite dei colli Euganei, nel Cuneese con la pietra di Luserna, in Toscana con la pietra Serena, e nel Lazio con il travertino e le citazioni potrebbero continuare a lungo visto lo straordinario numero dei centri storici e la eccezionale orografia del territorio italiano. È così complicato - conclude - accettare la lezione della storia?».

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