Fidanzati uccisi, quei silenzi con Rosaria che ora inguaiano Giosuè

Pordenone, nella telefonata di un’ora la sera del duplice omicidio non le riferì del delitto. «Tacqui per paura, ma capisco di aver fatto una cosa sbagliata pure per Trifone»

PORDENONE. Giosuè Ruotolo non disse subito alla sua fidanzata che erano morti Teresa Costanza e Trifone Ragone, quando si telefonarono la notte di martedì 17 marzo.

Non un accenno nemmeno al fatto che quella sera il 26enne militare di Somma Vesuviana aveva deciso di andare alla palestra per allenarsi.

Un silenzio che ora suona sospetto alle orecchie degli inquirenti e di cui l’indagato per il duplice omicidio di via Interna riferisce dianzi ai pm. A rivelarlo, in esclusiva, è il settimanale Giallo, rilanciato ieri sera da Telepordenone.

Il 17 marzo Rosaria e Giosuè si sentirono ripetutamente, via sms, chat e telefono. Il contatto telefonico quotidiano era l’unico modo per alimentare la relazione a distanza fra i due fidanzati.

C’è stato un unico black out nelle comunicazioni quel giorno: fra le 19.15 e le 20.03, quando Ruotolo asserisce di aver lasciato il suo iPhone nuovo a casa per andare prima in palestra in via Interna e poi al parco di San Valentino a fare jogging (e desistendo in entrambi i casi).

L’ultima chiamata a Rosaria risale alle 22 di martedì 17 marzo. Dura circa un’ora. Giosuè racconta alla fidanzata la giornata appena trascorsa. Ma in quell’ora Ruotolo non trova il modo di raccontarle il fatto del giorno: due ragazzi sono stati uccisi nel parcheggio della palestra, si tratta di Teresa Costanza e Trifone Ragone.

Come mai non ne parla con la sua ragazza, che pure li conosceva di vista? «Non volevo farla preoccupare», spiegherà Ruotolo agli inquirenti.

Il suo timore era che la fidanzata potesse temere per l’incolumità dello stesso Ruotolo, poiché il delitto era avvenuto nelle vicinanze della sua abitazione (l’appartamento in via Colombo, che condivideva con i due commilitoni).

Il misterioso killer, poi, aveva esploso sei colpi di pistola a bruciapelo contro due conoscenti della coppia: c’erano tutti gli ingredienti per ingenerare uno stato d’ansia, a chilometri di distanza, in Rosaria Patrone. Soltanto l’indomani alle 13 Ruotolo suggerisce a Rosaria di guardare il telegiornale delle 13.

C’è un altro silenzio del quale gli inquirenti hanno chiesto conto a Giosuè Ruotolo. Quello lungo sei mesi, in cui ha taciuto, da persona informata sui fatti, della sua presenza sulla scena del crimine a ridosso dell’ora del delitto. Soltanto quando i pm gli mostrano il fotogramma della sua Audi A3 grigia in via Interna Ruotolo ammette di essere stato al parcheggio di via Interna.

Otto minuti, il tempo di ascoltare due canzoni di musica house, in attesa che si liberasse un posteggio. Attesa vana, da qui l’idea di andare al parco. «Ma faceva troppo freddo». E così Ruotolo è tornato a casa, dove ha cenato con i suoi coinquilini.

Qualche ora dopo è iniziato il tam tam dei messaggi: un commilitone ha telefonato, quella sera, dicendo che era successo qualcosa nel parcheggio di via Interna. C’era un assembramento di carabinieri attorno a un’automobile «che somigliava a quella di Trifone». Ruotolo e i suoi coinquilini si precipitano in auto a vedere cosa sia successo al palazzetto dello sport.

Tace anche in quel momento Ruotolo. Ma ha, anche stavolta, una spiegazione: «Non ho detto nulla circa la mia presenza sul luogo nei momenti prossimi all’omicidio perché sentivo che i commilitoni commentavano dicendo che sul posto c’erano le telecamere di videosorveglianza e io mi sentivo sollevato da tutto questo. Credevo che il colpevole sarebbe stato preso.

Non ho confidato a nessuno che mi trovavi lì per una serie di brutti pensieri: avevo paura per la mia incolumità, per la mia carriera nella guardia di finanza, ma anche perché sapevo di essere estraneo e di non poter dare nessun contributo alle indagini».

Giosuè ammette: «Capisco di aver fatto una cosa sbagliata anche nei confronti di Trifone. So che in queste occasioni è giusto collaborare con l’autorità».

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