Fa l’estetista, ma si finge povera: incastrata

La Finanza le ha trovato in casa una stanza per i massaggi: 190 mila euro in “nero” in 4 anni. E intanto riceveva aiuti comunali

UDINE. Prima della separazione, aveva denunciato il marito per maltrattamenti e violenza. Poi, rimasta sola in casa con i loro due figli, lo aveva accusato di mancata corresponsione dell’assegno di mantenimento. Tutto falso.

Un castello di bugie, che ha finito per ritorcersi proprio contro di lei. Ritenendo infondate le sue dichiarazioni, la Procura di Udine l’aveva posta a sua volta sotto inchiesta e gli accertamenti delegati alla sezione di Pg della Guardia di finanza avevano portato a galla una storia completamente diversa. Una storia di finta povertà.

Lungi dall’avere mai subito alcun genere di vessazione coniugale, la donna, una 50enne di origini napoletane e residente a Pasian di Prato, aveva a lungo aggirato il Fisco e fatto credere di vivere di stenti o poco più, per chiedere e ottenere non soltanto l’indennità di disoccupazione, ma anche innumerevoli aiuti comunali e finanche l’ammissione al gratuito patrocinio per le spese legali sostenute nella querelle giudiziaria contro l’ex.

In realtà, in quei quattro anni di presunta indigenza, aveva saputo costruirsi un nome nel circondario come massaggiatrice ed estetista, riuscendo a incassare compensi in “nero” per un ammontare complessivo di 190 mila euro.

Ora, a conclusione delle indagini preliminari, il pm Elisa Calligaris ha formulato nei suoi confronti le ipotesi di reato di truffa ai danni dello Stato, di falso in atto pubblico e di falso per l’ottenimento del gratuito patrocinio.

E ha contemporaneamente chiesto al gip l’archiviazione della posizione dell’ex marito, suo coetaneo e di origini meridionali come lei, per tutti i reati contestati.

L’effetto boomerang si era concretizzato un paio di mesi fa, con la perquisizione domiciliare disposta a carico della donna. All’interno dell’abitazione, le Fiamme gialle avevano trovato una stanza adibita per l’appunto ad ambulatorio estetico.

Dentro, tutto il necessario per la sua attività: dal lettino per i massaggi e i trattamenti di bellezza e benessere per il corpo, alle attrezzature e i prodotti per i servizi di manicure, pedicure e peeling.

Oltre, naturalmente, a pile di biglietti da visita. Indispensabili per farsi pubblicità, ma rimasti ignoti all’Agenzia delle entrate, almeno a partire dal 2009 e fino al 2012, cioè per l’intero arco di tempo passato al setaccio dagli investigatori.

Decisivo, ai fini delle verifiche, il ritrovamento delle agende sulle quali l’indagata aveva tenuto annotati i nominativi dei clienti, la scaletta degli appuntamenti e il listino dei prezzi praticati.

L’esame incrociato di quella mole di dati e delle testimonianze raccolte tra alcuni clienti, oltre che delle fatture d’acquisto dei prodotti e degli accertamenti tributari condotti sui conti della donna dalla Compagnia della Guardia di finanza, ha permesso agli inquirenti di ricostruirne il volume d’affari.

Demolendo il palco sul quale aveva recitato la parte della finta povera, che le aveva consentito di beneficiare di una quantità enorme - e non ancora quantificata - di facilitazioni e sostegni economici.

Semplicissimo il trucco. Secondo la Procura, la massaggiatrice non avrebbe fatto altro che tacere l’entità reale dei propri guadagni, presentando richieste di aiuto al Comune a fronte di dichiarazioni Isee con dati economici e patrimoniali fasulli.

I sospetti sul suo conto erano sorti fin dalle battute iniziali dell’inchiesta avviata a carico del coniuge e gli accertamenti della Polizia giudiziaria li avevano in breve confermati: forte del fatto di essere totalmente sconosciuta al Fisco per i redditi di lavoro autonomo percepiti, la massaggiatrice aveva presentato istanza per il gratuito patrocinio - istituto riservato appunto alle persone non abbienti -, percepito indennità di disoccupazione e goduto dell’assegnazione di rimborsi e dell’abbattimento dei costi per l’energia elettrca e per la tassa rifiuti, oltre che di buoni mensa gratuiti.

Non paga, aveva cercato di essere ammessa anche agli aiuti del Banco alimentare gestito dalla Caritas. Il tentativo, però, non le era riuscito. Nel frattempo, l’inchiesta giudiziaria è riuscita a convincerla a mettersi in regola e continuare la propria attività con partita Iva.

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