Ex Upim, salta la commissione edilizia di Udine

Dopo il diniego trascurato dal Comune, si dimettono tre componenti su sei. «Si usano due pesi e due misure, manca la fiducia»

UDINE. Tre dei sei componenti della commissione edilizia gettano la spugna. Dopo la mancata considerazione ricevuta dal Comune sul progetto di riqualificazione del palazzo ex Upim, gli architetti Simonetta Daffara e Giovanni Vragnaz assieme all’ingegner Claudio Donada hanno rassegnato le dimissioni.

Al momento, restano al loro posto il geometra Gianni D’Aronco, l’architetto Stefano Carlutti rappresentante della Consulta dei disabili e il docente universitario, Gaetano Russo. I professionisti dimissionari non accettano di intervenire su elaborati già approvati dalla Soprintendenza e soprattutto di esprimere pareri poi disattesi dall’amministrazione.

Ieri l’hanno messo nero su bianco e la commissione edilizia presieduta dall’assessore al Patrimonio, Carlo Giacomello, è decaduta per mancanza del numero legale. Durissime le motivazioni: «È venuto a mancare il reciproco rapporto di fiducia» scrive Daffara, mentre Vragnaz si dice deluso e amareggiato non tanto per la «maleducazione istituzionale» quanto per «l’indifferenza della città e delle sue forze intellettuali e politiche di fronte a un tema così cruciale per la sua identità e immagine futura».

Donada, invece, parla di criteri architettonici che «sembrano assumere valenze diverse in funzione della committenza proponente». I dimissionari, insomma, contestano i due pesi e le due misure seguite nella valutazione degli interventi privati.

Inutile dire che il caso ex Upim ha sollevato un vero e proprio polverone. Sottolineando che il parere della Commissione è obbligatorio ma non vincolante, Daffara ricorda che il Comune ha scelto di non sottoporre al parere della stessa Commissione i progetti delle principali opere pubbliche, tra cui la sistemazione di piazza XX Settembre, la pavimentazione di via Mercatovecchio e il recupero dell’ex macello, «mostrando così di non tenere in alcun conto la competenza dei suoi componenti, ma anche e soprattutto di voler svuotare di ogni valore il nostro parere su aspetti formali e contestuali resi su alcuni importanti interventi privati in centro storico, facendolo precedere, anziché seguire, dal parere della Soprintendenza».

A iniziare dal secondo progetto per l’ex Upim firmato dall’archistar Rafael Moneo «bocciato dalla Soprintendenza senza che fosse richiesto il parere della Commissione edilizia» e il concorso per le statue del parcheggio di piazza Primo maggio «approvato dalla Soprintendenza e solo in seguito approdato in Commissione, dove è stato inutilmente bocciato», per finire con «il nuovo progetto ex Upim approvato dalla Soprintendenza a febbraio e giunto in Commissione solo a maggio.

Dopo tre audizioni con i progettisti, la Commissione ha espresso parere negativo. «L’edificio proposto – scrive Daffara – è stato valutato nella sua totalità inadatto e improprio nella relazione con la particolare e preziosa collocazione che viene ad avere». Senza contare che la Commissione non ha mai saputo «quale sia stato in seguito l’accordo tra l’amministrazione e i soggetti richiedenti».

Ovvero il gruppo Rizzani de Eccher. Daffara ritiene che «il ruolo della Commisione sia superfluo se non un fardello per l’amministrazione, la quale desidera piena libertà di azione sulle opere che ritiene di fondamentale importanza».

Secondo l’architetto che in commissione rappresenta l’Ordine, «approvando un intervento del tutto estraneo ai caratteri del contesto, quale quello dell’ex Upim, si è creato un precedente, aprendo la strada a ulteriori legittime richieste di deroga che nemmeno dovrebbero attraversare l’iter di un parere preventivo in Commissione. Non si può – insiste – presupporre di usare due pesi e due misure in virtù del diverso peso economico e/o politico dei richiedenti».

Detto che il diniego sull’ex Upim «riguarda aspetti fondamentali e non decorativi» e che «l’edificio esistente è migliore di quello proposto», pure Vragnaz si sofferma sul ruolo della Commissione di fronte a progetti che le vengono sottoposti con il benestare delle Belle arti.

«Questa condizione imporrebbe un sostanziale risparmio di tempo, di scocciature, di prese di posizione e di dibattiti e di crucci “civili”, chiudendo “la partita” prima di iniziarla. Solo un mal posto senso di responsabilità ci ha fatto avventurare in un confronto minoritario e improduttivo, di fronte alla “corazzata” del parere della Soprintendenza della cui protezione gli investitori si sono accortamente muniti in maniera preventiva. Non diversamente stupefacente è stata la vicenda dei nanetti del parcheggio di piazza Primo maggio».

Non è la prima volta – prosegue Vragnaz – «che la Commissione trasalisce di fronte alle sentenze della Soprintendenza trovandosi in una posizione di supplenza indebita, impropria e comica quando si giunge al dissenso palese. Il nostro compito era fare il meglio: ciò qui non è avvenuto».

Dello stesso avviso Donada che ritiene «privo di senso il contributo della mia esperienza e ora inutili anche le energie e il tempo che per tanti anni ho dedicato con passione alla mia città».

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