Ex bancaria truffò il sacrestano l’Appello aggrava la condanna

Salita a 3 anni e 4 mesi di reclusione la pena inflitta a una 47enne friulana Usò i soldi per comprarsi trucchi e abiti. La difesa: «Era lui a effettuare i prelievi»
Prepotto 8 Settembre 2013. Pellegrinaggio alla Madonna di Castemonte Telefoto Petrussi Foto Press / Diego Petrussi
Prepotto 8 Settembre 2013. Pellegrinaggio alla Madonna di Castemonte Telefoto Petrussi Foto Press / Diego Petrussi

CIVIDALE

Lei aveva negato tutto, ma il giudice monocratico del tribunale di Udine non le aveva creduto e l’aveva condannata a due anni e otto mesi di reclusione e 3 mila euro di multa, oltre che al risarcimento dei danni al cliente che era stata accusata di avere truffato. Tre anni dopo, davanti alla Corte d’appello di Trieste aveva respinto nuovamente ogni addebito, riferendo circostanze in grado di dimostrare l’impossibilità materiale di effettuare una parte dei prelievi che le erano stati contestati e dipingendo la propria vittima, ossia il sacrestano del santuario della Madonna di Castelmonte, come una persona tutt’altro che sprovveduta. Il risultato è stato un aggravamento della pena, passata a complessivi tre anni e quattro mesi di reclusione e 3.200 euro di multa.

La sentenza nei confronti di Alessandra Petrussa, 47 anni, di Corno di Rosazzo, all’epoca dei fatti contestati dipendente della Banca popolare Friuladria - che in seguito la licenziò -, è stata emessa dal collegio presieduto da Edoardo Ciriotto (a latere, i colleghi Fabrizio Rigo e Mimma Grisafi), in accoglimento dell’appello proposto dalla Procura, oltre che dalla difesa, rappresentata dall’avvocato Maurizio Conti, e dal legale di parte civile, avvocato Piero Comis, cui in primo grado era stata riconosciuta una provvisionale di 33.200 euro, pari alla somma sparita dal conto del proprio assistito. In aula, anche l’avvocato Astrid Vida, di Trieste, in sostituzione del collega Pietro Tonchia, con cui anche l’istituto di credito si era costituito parte civile.

Il caso risale al 2012 ed era venuto a galla dopo il trasferimento della Petrussa ad altra sede, quando l’impiegata che ne aveva preso il posto si accorse di alcune anomalie: la repentina riduzione delle risorse del cliente e la lettura del dettaglio di alcune sue uscite, corrispondenti a trattamenti estetici e all’acquisto di indumenti e trucchi per donna. Decisamente strane per un uomo, tanto più trattandosi di un ultrasettantacinquenne. Nel ricostruire i fatti, inquadrati nelle fattispecie della truffa e dell’uso abusivo di bancomat, la polizia aveva individuato due modalità di truffa: da un lato, l’ex bancaria aveva convinto il sacrestano a chiedere un nuovo bancomat per trattenerselo e adoperarlo per le proprie spese, sostituendolo poi con una seconda nuova tessera per non destare troppi sospetti; dall’altro, per coprire gli ammanchi, ne aveva disinvestito alcuni titoli e versato la somma sul conto corrente, facendo risultare il saldo di volta in volta invariato.

Diversa la ricostruzione prospettata dall’avvocato Conti, che, nel chiedere l’assoluzione dell’imputata, ha insistito sulla «non riconducibilità a lei di alcuni degli utilizzi del bancomat», trovandosi in luogo diverso da quello dell’operazione, e, di contro, sulla «certezza» che a effettuare prelievi di cassa fosse lo stesso sacrestano. Come quando, nell’arco di un solo anno, ritirò oltre 9 mila euro. «Somme – ha osservato la difesa – che mal si conciliano con il profilo del cliente e che appaiono invece compatibili con attività, svaghi o amicizie che richiedono il frequente ricorso al contante». Un uomo che, pur vivendo nel santuario di Castelmonte, «si recava settimanalmente nella filiale bancaria». —

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