ERMACORA E FORTUNATO CONTESI A COLPA DI FURTI

di PAOLO MEDEOSSI Vita faticosa quella dei santi, anche dopo la morte, soprattutto agli inizi della cristianità che chiamava promotomartiri quanti dedicavano l’esistenza alla loro missione. Ne sanno...

di PAOLO MEDEOSSI

Vita faticosa quella dei santi, anche dopo la morte, soprattutto agli inizi della cristianità che chiamava promotomartiri quanti dedicavano l’esistenza alla loro missione. Ne sanno qualcosa Ermacora (o Ermagora) e Fortunato, i patroni di Udine, ma anche di tutto il Friuli, di Gorizia, Lubiana, Hermagor e altri comuni, che saranno festeggiati martedì. Ermacora fu il primo vescovo di Aquileia, scelto da San Marco e nominato da San Pietro, e Fortunato era il suo diacono. Vennero martirizzati attorno al 70 dopo Cristo, ma le loro disavventure non finirono lì, in quanto le reliquie dei due santi furono protagoniste di vicende incredibili che meriterebbero un romanzo tipo Il nome della rosa. Tentiamo di sintetizzarle attraverso uno scritto di Guido Tigler e ricordando che avvenne in tempi nei quali il mondo della Chiesa viveva in maniera cruentissima. Non a caso, nel Trecento, Udine vide due suoi patriarchi assassinati: uno era il famoso Bertrando di Saint-Genies, ucciso a San Giorgio della Richinvelda, e l'altro Giovanni Sobieslav di Moravia, ammazzato l'8 ottobre 1384 davanti alla porta del castello e sepolto in duomo in fretta e furia.

Ma torniamo ai protomartiri, anzi alle loro reliquie, al centro per secoli di una serie di furti sacri dovuti alla rivalità fra i due patriarchi di Aquileia e di Grado-Venezia, che in quei cimeli ravvisavano segni tangibili della propria legittimità. Più o meno le cose sarebbero andate così: a seguito dello scisma tricapitolino il patriarca Primigenio fece trasferire segretamente i resti di Ermacora e Fortunato a Grado per sottrarli agli eretici, ma nel 1003 gli aquileiesi attaccarono Grado e la conquistarono saccheggiando un ben po' di reliquie. Gli isolani, astutissimi, avevano però nascosto quelle dei santi in un sacello adiacente alla cattedrale di Sant'Eufemia. Anni dopo il celebre patriarca Poppone ricostruì la basilica aquileiese dedicando un altare a Sant'Ermacora per sistemarvi quelli che lui riteneva i veri veneratissimi resti. Aquileiesi e gradesi insomma erano convinti di possedere le medesime reliquie. E così le acque si placarono, ma un secolo dopo il doge Bartolomeo Gradenigo (la cui famiglia, come dice il nome, era di origine gradese) decise di far realizzare per la cattedrale dell'isola un’arca marmorea, dedicata (guarda un po’) a Ermacora e Fortunato. Ciò svegliò l'interesse di un sacerdote che rubò le reliquie, presto però rinvenute nel suo letto. Per scusarsi, ebbe la faccia tosta di dire che in fin dei conti anche le reliquie di San Marco erano a Venezia per un furto. Comunque, una volta recuperati, i sacri resti vennero chiusi in una cassetta argentea e traslati nell'arca. Nello stesso periodo il patriarca Bertrando commissionò a sua volta un'arca da esporre ai fedeli il 12 luglio, inizio della vita eterna dei protomartiri, evidentemente per ribadire, non senza una punta di polemica, che le contese e autentiche reliquie erano quelle di Aquileia. Il sarcofago era in effetti destinato alla sua basilica, cosa che però non avvenne in quanto venne portato invece nel 1353 nel duomo di Udine (dov'è tuttora) per accogliere i resti di chi lo aveva voluto, appunto Bertrando, ucciso nel giugno 1350 da una congiura di nobili friulani. Il suo successore, Nicolò del Lussemburgo, preferì infatti destinare il sarcofago a Bertrando stesso, oggetto di un gran culto, piuttosto che a reliquie di origine incerta pensando ormai anche lui che quelle vere fossero a Grado. Di ciò si convinse lo stesso clero aquileiese che a un certo punto le trafugò a Grado, nascondendole nel castello di Soffumbergo. Per evitare altri imbarazzi, Udine (diventata la Nuova Aquileia) alla fine accolse in duomo l'amatissimo Bertrando e sulle altre reliquie stese un velo di silenzio. Quando nel 1360 i friulani restituirono quelle trafugate, i gradesi eccepirono che non erano le originali. Non è escluso quindi che Aquileia si sia tenuta quelle autentiche, ancor oggi conservate nella basilica. Ma nessuno ebbe più niente da ridire. La questione aveva perso d'attualità dopo secoli di furti e baruffe.

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