Emergenza virus, i rifugi del Fvg cercano le regole per riuscire ad aprire in estate

Le 32 strutture della regione non hanno ricevuto direttive Cai e Comuni sono in attesa per programmare la stagione

UDINE. I rifugi alpini, preziosi per frequentare i monti, imprescindibili per esplorare le terre alte e godere della natura in purezza. Si dicono belle parole sui rifugi di montagna. Peccato che rimangano tali. Lo si vede anche nell’emergenza Covid. I gestori dei 32 rifugi della regione, così come quelli in tutta Italia, stanno ancora aspettando tempi e modi per riaprire.

Strutture preziose, certo, perché chi va in montagna non ne può fare a meno. Strutture delicate, pure. Perché nei rifugi la promiscuità è un valore, perché nelle camerate si dorme tutti insieme e si sta bene, perché sulle panche ci si siede stretti, ci si scalda e si fa amicizia.

Non si può più, ahimè: il virus ci ha resi allergici ai contatti fisici. Peggio: ce li vieta. E allora che fare? Come ci rifugeremo in montagna?

Eppure andar per sentieri, piuttosto che strizzarsi in spiaggia, pare più ragionevole in tempi di distanziamento sociale. Giulie, Carniche, Dolomiti Friulane offrono una vastità di gite magnifiche dove l’isolamento è garantito. Un po’ di affollamento, in certi giorni e al picco della stagione, si può trovare solo nei rifugi.

Stefano Sinuello, presidente di Assorifugi, rappresenta la buona parte dei 32 rifugi disseminati in regione, dagli storici ai recenti, dai remoti a quelli a fil di strada. Hanno 1.500 posti letto, che non son pochi, e un’affezionata clientela tedesca che ha già prenotato per quest’estate “e in parte non ha disdetto”.

I gestori vogliono riaprire, ma non sanno né quando né come. «Da Regione e Promoturismo silenzio. Vista la particolarità delle nostre strutture, chiediamo di collaborare per concordare regole chiare e possibilmente semplici da attuare. I rifugi sono la nostra vita e in stagione la nostra casa, alcuni li gestiamo da più di 40 anni, conosciamo bene i problemi e come risolverli. Ma nessuno ci ha coinvolto. Abbiamo sentito voci, letto articoli, poche cose concrete. Dalle istituzioni, finora, vuoto totale».

Il Club alpino italiano, proprietario della gran parte delle strutture alpine tramite le sezioni locali, sta progettando soluzioni. «I rifugi Cai in regione sono 19, con circa metà dei posti letto totali. Gli altri sono dei Comuni o di altri enti. Come ci dovremo regolare? Ok per mascherine, disinfettanti, ai pasti da asporto, a fare più turni a pranzo. Siamo consapevoli che dovremo ridurre i posti letto».

I gestori temono i contraccolpi di queste misure: i costi per adeguarsi, il mancato guadagno che intaccheranno i margini fisiologicamente già bassi: «Ci aspettiamo che i proprietari ridimensionino i canoni di affitto. E se ci chiederanno gli stessi standard di ristoranti e alberghi saremo costretti a chiudere».

Poi la data. «Quando potremo ripartire? In contemporanea con la libera circolazione delle persone? Dobbiamo saperlo prima, per fare provviste, salire a preparare le strutture. Vorremmo essere operativi per i primi di giugno».

Infine, non ultimo fra i problemi, ci sono le frontiere. «Abbiamo quasi la metà della clientela che proviene dall’estero, se Slovenia e Austria chiudono sarà un disastro. Già si stima un calo del turismo del 70 per cento. Invece ci giunge voce che i confini con la Carinzia potrebbero riaprire soltanto nel 2021. L’Europa deve dimostrare di essere davvero un’unione: solo mantenendo le frontiere aperte possiamo superare questo momento, aiutarci fra Paesi è fondamentale».

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