Ema, ragazzo affetto da una malattia rara: «Preso a pugni dalla vita, ma io voglio viverla»

Udine, in poco tempo ha perso la vista e subito il trapianto di cuore. Per i genitori servono più investimenti nella ricerca scientifica

UDINE. «Sono successe cose molto brutte e mi hanno già salvato la vita tre volte. Non posso parlare, non posso vedere, non posso muovere le gambe, ma sento, capisco, piango in silenzio, soffro e lotto.

Lotto, perché io questa vita che mi ha sempre preso a pugni la voglio vivere e voglio tornare a casa a vivere la nostra vita fatta di poche cose, ma per noi importanti».

Già, Ema non parla più. Muto e immobile in un letto dell’ospedale di Udine da più di due mesi. Nella Terapia intensiva del reparto di Cardiochirurgia fino a qualche giorno fa, ora in una stanza della Semintensiva.

Ma i suoi genitori riescono a sentirlo lo stesso, sanno leggergli negli occhi il desiderio di guarire, di sgusciare fuori dalla malattia e programmare il proprio futuro come i suoi coetanei. E allora è il papà Andrea a scrivere per lui.

Una storia «devastante», quella raccontata come un doloroso diario giornaliero sul proprio profilo Facebook. Perché non è facile stare vicino a tuo figlio, «tenergli la mano e non potere fare nulla di più per aiutarlo». Finisci per sentirti «solo, impotente, inutile».

Ema ha 16 anni e dalla nascita è affetto da una malattia mitocondriale. E cioè da una malattia rara, «anzi – precisa il papà Andrea –, unica al mondo», contro la quale sembra non esistere cura. Il prossimo 17 ottobre sarà di nuovo tempo di soffiare sulle candeline e tutti speravano potesse farlo fuori dall’ospedale.

L’anno scorso, aveva trascorso il compleanno nella Terapia intensiva del Cattinara di Trieste, dov’era stato ricoverato d’urgenza due giorni prima, all’esito di una visita di controllo al Burlo Garofolo. Il calvario era cominciato all’età di 12 anni, con i primi disturbi alla vista.

Prima, nessun segnale, dopo, all’improvviso, il buio: spariti i colori del mondo e i volti delle persone attorno a lui. Finché, il 1° novembre, al Centro regionale trapianti non gli avevano regalato un cuore nuovo. Facendo così di Ema il terzo caso al mondo di persona trapiantata con questo tipo di malattia.

Sembrava fatta, tanto da tornare a scuola per l’ultima settimana dell’anno scolastico, insieme ai compagni dell’istituto professionale di Udine da cui era stato costretto ad allontanarsi. Ma poi, il 28 luglio, Ema era stato colto da un arresto cardiorespiratorio.

Era a casa, a Udine, e stava per fare colazione con papà Andrea e mamma Cristina. «Siamo riusciti a salvarlo, praticandogli un massaggio cardiaco di quindici minuti, in collegamento telefonico con il 118, fino all’arrivo dell’ambulanza», ricorda il padre.

L’incubo si era ripresentato con la stessa minacciosa violenza un paio di settimane dopo, durante il ricovero nella Tearpia intensiva della Cardiochirurgia del “Santa Maria della Misericordia”. «Per tenerlo in vita, la notte del 14 agosto – ricorda Andrea –, due équipe hanno lavorato per otto interminabili ore».

Il resto della storia, però, è ancora più in salita. Perché questa, come le altre malattie rare, «è cattiva, subdola e vigliacca», scrive “Nano” attraverso la mano del padre. E la sua esperienza può e deve accendere un faro su disgrazie spesso trascurate.

«Bisogna puntare sulla ricerca – ripete Andrea –. Purtroppo, le malattie rare contano pochi casi e questo le rende economicamente meno interessanti alle case farmaceutiche. Ma ci sono troppi bambini che soffrono e che vorrebbero vivere. È un loro diritto ed è terribile che venga loro negato.

Mi piacerebbe che dappertutto, nelle scuole così come nelle chiese, negli stadi e sulla stampa fosse dedicato un momento per tutte queste giovani creature che non hanno mai avuto la fortuna di rincorrere un pallone e correre con la bicicletta».

La sensibilizzazione, nel caso del suo “Nano”, ha funzionato. A Telethon, la maratona televisiva che quest’anno, attraverso la propria Fondazione, ha messo a disposizione della ricerca scientifica sulle malattie rare 11 milioni di euro, c’è chi ha corso con il logo “Forza Ema” sulla maglietta.

E dopo il trapianto, videomessaggi sono stati inviati alla famiglia da una marea di amici, virtuali e non, a cominciare dai cantanti Vinicio Capossela, Andrea Bocelli e Katia Ricciarelli e dal giornalista Federico Buffa. Tutti a fare il tifo per lui.

Anche i giocatori della squadra di basket Apu di Udine, che venerdì gli hanno fatto recapitare una maglia autografata. Ricordandogli che, pure in mezzo a tutto quel silenzio, lui e i suoi genitori non sono affatto soli. —

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