Don Corazza: «Mandi Friuli»

Pienone sotto la pioggia per l’ordinazione di un vescovo dopo trent’anni

Trent’anni dopo – era il 9 aprile 1988 quando il cardinale Marco Cè impose le mani sul capo di don Pietro Giacomo Nonis – la cattedrale di Concordia Sagittaria ha «donato al popolo di Dio» un altro vescovo, il suo per sette anni parroco don Livio Corazza, 64 anni, pordenonese doc.

La pioggia non ha fermato centinaia di fedeli dalla diocesi (un pullman solo da Maniago, di dove è originaria la famiglia Gaspardo, imparentata col neopresule per parte di madre) e dalla Romagna, che hanno assistito al rito animato da 130 coristi dell’Unità pastorale diretti da Michele Franco e accompagnati dall’organista azzanese Daniele Toffolo, chi, se munito di pass, in chiesa e chi sotto la tensostruttura allestita sul sagrato, davanti a uno dei due maxischermi esterni.

In prima fila la famiglia del neovescovo: la sorella Teresina, di Palse, che non ha trattenuto la commozione, e i fratelli Giuliano, Giovanni e Giuseppe, tutti di Pordenone. L’altro fratello, don Gianfranco, l’ha accompagnato all’altare assieme al forlivese don Germano Pagliarani. Dall’altra parte, più di 150 preti, compagni di scuola compresi; subito dietro gli amministratori: tra loro i vicepresidenti delle giunte del Veneto Gianluca Forcolin e del Friuli Venezia Giulia Sergio Bolzonello (che ha a lungo abbracciato «Livio» e non è riuscito a celare l’emozione), i sindaci di Venezia Luigi Brugnaro, di Concordia Claudio Odorico, di Porcia Giuseppe Gaiarin (originario della cittadina sul Lemene), di Forlì Davide Drei, il consigliere delegato Alessandro Basso per Pordenone, Francesca Papais di Zoppola; e, ancora, il prefetto Maria Rosaria Laganà, la presidente di Banca Popolare FriulAdria Crèdit Agricole Chiara Mio e i vertici delle forze dell’ordine tra cui il comandante della compagnia carabinieri di Portogruaro maggiore Michele Laghi, originario di Forlì.

Saluto dei bambini sull’uscio della cattedrale e degli amministratori, poi l’uscita dal protocollo con l’abbraccio di un gruppo di giovani disabili; monsignor Livio Corazza ha raggiunto l’altare con i tredici vescovi: Matteo Zuppi di Bologna, Claudio Cipolla di Padova e Lino Pizzi di Forlì hanno presieduto il rito con Giuseppe Pellegrini, poi i presuli di Ravenna Cervia, Belluno Feltre, Cesena Sarsina, San Marino Montefeltro, Ferrara Comacchio, Gorizia, l’abate vallombrosano Giuseppe Casetta e gli emeriti di Concordia-Pordenone Ovidio Poletto e di Gorizia.

«Ti consegno tre immagini: quelle del buon samaritano, del pastore e del servo – ha detto il vescovo Pellegrini nell’omelia –. Incontrerai tante situazioni di povertà, di sofferenza, di emarginazione e di solitudine. Non andare oltre, fermati, al di là dei pregiudizi e anche delle incombenze pastorali. Ringraziamo il Papa per il dono che ha concesso a te e alla chiesa».

Data lettura della lettera apostolica di papa Francesco («abbiamo pensato a te che hai dimostrato competenza di fronte alle necessità dei lavoratori e dei migranti»), gli impegni dell’eletto, l’imposizione delle mani e del Vangelo sul capo, la consacrazione mentre le campane suonavano a festa, la consegna dei Vangeli, dell’anello «segno di fedeltà», della mitra, del pastorale e l’insediamento tra i vescovi concelebranti.

Dopo la benedizione dei fedeli (il neovescovo ha voluto impartirla anche a coloro che non sono riusciti a entrare in cattedrale), il saluto. Il primo pensiero l’ha rivolto alla famiglia «che mi ha trasmesso la fede con le parole e con l’esempio», al padre Gigi morto 36 anni prima e alla madre Gina, mancata vent’anni fa, ai parenti (tra i nipoti l’ex consigliere regionale Alessandro Corazza), al fratello don Gianfranco, alle parrocchie di San Marco, dove fu battezzato «e dove è sbocciata la mia vocazione», delle Grazie, «dove ho trascorso gli anni giovanili e sono stato ordinato prete» (e qui ha dovuto fermarsi per la commozione), al Cristo Re, «dove ho celebrato la prima messa nello scantinato della scuola di via Goldoni con don Romano Zovatto», al seminario «che è stata la mia scuola di vita», alle parrocchie dove ha operato: Maniago, Porcia, Fiume Veneto ed Orcenico di Sotto. Un «pensiero speciale alle comunità di Concordia, Teson e Sindacale, dove ho raccolto un’eredità impegnativa: sono stati 80 mesi ricchi di esperienza». E poi il grazie agli operatori dei servizi diocesani, che ieri c’erano tutti: la pastorale sociale e del lavoro, Migrantes, Caritas. Qui ho imparato il gioco di squadra, qui ho incontrato il volto di Dio in chi cerca pane, casa, lavoro, accoglienza, affetto». È seguito un minuto di silenzio, per cacciare indietro le lacrime, poi asciugate da un lungo applauso. L’esortazione ai confratelli preti: «Non perdete l’entusiasmo nell’annunciare il Vangelo».

Il pensiero della diocesi che lascia, una reliquia dei Santi Martiri di Concordia, consegnata dal vicario generale Orioldo Marson, «dono della memoria e della vita della nostra chiesa». Dopo il rito, i saluti, decine di persone in fila indiana: chi lascia e chi incontra. La pioggia cede il passo al sole. E il neo vescovo si congeda così: «Come si dice in Friuli, mandi! Rimani con Dio».

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