Don Bosco, l’addio alla prima squadra chiude un’epoca

Pordenone, il nuovo campo in sintetico adesso sarà tutto per i ragazzi. Ma quanti ricordi e rimpianti per la fine dei bluarancio

PORDENONE. Quel campo in sintetico, dopo appena 4 anni, sarà tutto per i giovani. Stop alle sfide dei “grandi”, largo solo ai sogni e alle speranze dei pordenonesi più piccoli, da settembre l’unico, esclusivo interesse del Don Bosco calcio. Una decisione che continua a far discutere la Pordenone del pallone.

Polvere. Tanti, tantissimi i dirigenti e i giocatori di ieri e di oggi toccati dalla notizia. «Quando l’ho letta sul Messaggero Veneto - esordisce Edy Driussi, nel club per una ventina d’anni -, mi sono tornati in mente i quintali di polvere del campo di sabbia; il prepararlo la mattina per le gare dei ragazzini e il tirarlo di nuovo subito dopo, per quelle dei grandi nel pomeriggio.

Sono ricordi che non si cancellano». Si rammarica, Driussi, ma comprende anche bene il perché. «Bisogna capire la scelta della società - dichiara -, che resta pur sempre una società anomala rispetto alle altre. Parolacce ed espressioni blasfeme, non tanto dei giocatori quanto del pubblico, la domenica pomeriggio e magari pure durante le funzioni, hanno sempre dato un certo fastidio, come è normale che sia».

Delusione. «Troppo agonismo? C’è sempre stato, fin da quando si giocava sul campo di sabbia - arringa, invece, Renzo Candotti, altro ex dirigente di lungo corso –. Onestamente sono deluso, non pensavo si arrivasse a tanto. Anche perché ora dove andranno i ragazzi che finiscono gli allievi e non hanno possibilità di giocare?

Con la Terza categoria almeno non erano costretti a smettere o andare con gli amatori. Davvero non me l’aspettavo». Ma il ricordo più accorato è quello di chi di quel Don Bosco, di quella prima squadra, ha continuato a seguire le sorti fino ad ora. E continuerà a farlo in futuro. «Continueremo ancora, ovviamente - è il commento dolceamaro di Giovanni Patruno, ancora nel direttivo del club –, finché la salute permette...».

Generazioni. Poi Patruno scava nel passato. «Mi sono avvicinato al Don Bosco quando mio figlio aveva otto anni - ricorda - e aveva cominciato a giocare nei pulcini. Poi è arrivato fino alla Seconda, e adesso negli esordienti ci gioca mio nipote.

Sono subentrato come segretario nell’81, prendendo il posto di Giuseppe “Peppino” Falcone (altro storico membro del club), fino a tre anni fa, quando ho lasciato il posto pur rimanendo nel club. I giocatori li ho conosciuti tutti. Mi sono rimasti nel cuore tanti bambini e giovani, che ora sono sposati e mi salutano quando ci incontriamo per strada... Il tempo passa, ma tutti si ricordano di questi anni».

La rete. Immancabile, poi, il popolo di Facebook. «Che brutte cose... Quanti momenti, quante risate, quanti amici, quante panchine», ricorda qualcuno a metà fra il triste e l’autoironico.

«Più che una società storica, chiude un vero e proprio punto di riferimento cittadino - nota qualcun altro - Spero continuino ad essere il punto di aggregazione di molti giovani stranieri in città, esempio positivo di aggregazione e socializzazione».

Ma c’è anche chi plaude deciso alla decisione dei salesiani. «Bene così - scrive -, via gli integralismi dal calcio. Chi non se la sente più di educare meglio se abdica». Insomma, Pordenone è divisa fra chi si rammarica, chi comprende e chi legittima. Tutti, però, hanno negli occhi, indelebile, il bluarancio di un club che ha scandito l’infanzia di tanti ragazzi. E un campo che comunque, di sabbia o in sintetico, continuerà a farne correre altri.

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