Delitto Burgato a Lignano, la Cassazione: ergastolo per Lisandra

Confermata a Roma la sentenza di condanna all’assassina dei coniugi Burgato. Rigettato il ricorso della difesa
Udine 19 agosto 2012 MICIDIO copyright Petrussi pressTurco
Udine 19 agosto 2012 MICIDIO copyright Petrussi pressTurco

LIGNANO. È finita com’era prevedibile che finisse: ergastolo confermato e fine di ogni speranza residua. La decisione sul ricorso in Cassazione contro l’ergastolo inflitto a Lisandra Aguila Rico, la 24enne cubana riconosciuta colpevole della mattanza dei coniugi Rosetta Sostero e Paolo Burgato, è arrivata alle 22.

Chiudendo così un’intera giornata di attesa: lei dal carcere della Giudecca, a Venezia, dov’è stata trasferita un anno fa, e il suo difensore a Roma, dove ieri aveva discusso l’udienza sulla quale aveva puntato l’ultima fiche a loro disposizione.

Celebrato in tarda mattinata davanti alla prima sezione della Suprema Corte, il processo non ha riservato particolari sorprese: alla richiesta dell’avvocato Carlo Serbelloni di annullare con rinvio la sentenza impugnata, sono seguite quella del procuratore generale di dichiarare inammissibile il ricorso, e degli avvocati di parte civile Stefano Trabalza e Maria Cristina Clementi, legali rispettivamente del figlio Michele Burgato e dei fratelli Vinicio e Bruno Sostero, di confermare la condanna. Poi i giudici si sono ritirati in Camera di consiglio, dove sono rimasti fino a tarda serata, per decidere anche sugli altri casi (tutti fatti di sangue) trattati ieri.

In aula, questa volta, Lisandra non c’era. È rimasta in cella, ad aspettare la telefonata del suo difensore. «È preparata al peggio, perchè sa che sarà difficile che possa cambiare qualcosa», ha riferito l’avvocato Serbelloni, che si era recato in visita da lei una decina di giorni fa. Il 3 ottobre 2013, quand’era stata condannata con rito abbreviato dal gup del tribunale di Udine, e il 10 ottobre 2014, quando la Corte d’appello di Trieste aveva confermato il carcere a vita, aveva assistito all’intera discussione. Lo aveva fatto sempre mantenendo un atteggiamento dimesso e silenzioso, consapevole di ciò di cui era chiamata a rispondere e di ciò che la giustizia italiana avrebbe potuto infliggerle.

La notte del 19 agosto 2012, nella villa di via Annia, a Lignano, dove la coppia di anziani commercianti (65 anni lei, 69 lui) abitava e fu massacrata, Lisandra non era sola. Il piano della rapina, degenerata nel duplice omicidio, era stato pensato e attuato in concorso con il fratellastro Reiver Laborde Rico, 26 anni, a sua volta condannato, ma a soli 25 anni di reclusione e per decisione del tribunale popolare dell’Avana. «Ogni tanto chiede di lui – ammette il legale –, ma né io, né nessun altro, a cominciare dalla Procura, saprebbe cosa dire, visto che da Cuba non si sono più avute sue notizie».

Due i punti nodali sollevati nel ricorso dalla difesa. Innanzitutto, l’assenza dell’aggravente della crudeltà. «Quella sera – ha detto Serbelloni -, attesero il ritorno a casa dei coniugi a scopo di rapina: per questo si erano armati di coltelli. Poi, però, le cose sono andate diversamente e, nella concitazione del momento, sono partite numerose coltellate.

Questo non basta a qualificare il delitto come crudele, nè per affermare che le vittime siano state torturate: per quanto efferato sia stato, il delitto non è stato eseguito con modalità tali, da evidenziare negli aggressori uno spirito malvagio. È successo ciò che era prevedibile, in relazione agli strumenti che avevano con sè». Ribadito anche il ruolo comunque marginale giocato da Lisandra. «Non fu lei a uccidere – ha insistito Serbelloni -. Lisandra, anzi, cercò di impedire al fratello di compiere i due delitti».

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