Daniele Bertuzzi: da Comelli fino a Serracchiani, l’eminenza grigia della Regione

Entrato a palazzo a 25 anni, uomo di potere e relazioni, è diventato segretario generale. Schivo, evita i riflettori, ma sa aprire a Roma le porte che contano. Il suo futuro? Nella capitale
Silvano Trieste 29/04/2013 Debora Serracchiani, prime visite ufficiali
Silvano Trieste 29/04/2013 Debora Serracchiani, prime visite ufficiali

UDINE. Influente, ma poco visibile, sa dispensare consigli dalle retrovie senza tramare nell’ombra. Un’eminenza grigia che non si erge a maître à penser. Baciapile? Mah, è una scorciatoia dei malevoli che male sopportano i suoi ottimi rapporti con la Chiesa, quella che conta.

Di certo Daniele Bertuzzi è un diplomatico nel senso nobile del termine, in grado di relazioni e in possesso di chiavi che aprono porte che ai molti rimangono sprangate. È professionalmente longevo e a tal punto politically correct da essere una sorta di quintessenza della trasversalità.

E anche qui la macchina del fango si mette in moto e lo stigmatizza con una parola, budino, a significare il suo modo di sapersi assestare dentro il palazzo, a prescindere dal timoniere. Capacità di adattamento a persone e situazioni, la sua, che tutti gli riconoscono, dunque.

L’ex governatore del Fvg, Riccardo Illy, lo dipinge così: «Disponibilità e laboriosità invidiabili. È capace di relazioni non soltanto in Regione, ma anche a Roma e a tutti i livelli. Di certo, la sua vicinanza alla Chiesa lo ha aiutato.

È un collaboratore leale e un vero servitore delle istituzioni prima che delle persone. E quindi lui serve la Regione a prescindere dal presidente in carica. L’ho “ereditato” da Tondo e non ho avuto dubbi nel confermarlo. E questo rifarei anche oggi».

Già, tanti gli anni e altrettanti i timonieri con cui Bertuzzi ha avuto a che fare. Li ha “serviti” tutti, verrebbe da dire, in ruoli più o meno di vertice. La sua carriera nei palazzi della Regione comincia con un incarico nella segreteria dell’allora presidente del Fvg, Antonio Comelli.

Che lo aveva voluto con sè perché questo ragazzo – che all’epoca aveva su per giù 25 anni – aveva le carte in regola: fervente cattolico con alle spalle anni e anni di seminario e, soprattutto, democristiano di ferro. Ma Comelli, che nel 1983 a Gorizia finisce in minoranza nella Dc in virtù del patto tra gli emergenti Biasutti e Bertoli, sarà costretto a lasciare anche lo scranno della presidenza a favore dell’emergente Biasutti.

Siamo nel 1984. Bertuzzi diventa uno dei pretoriani del “re leone”. Lo stesso anno è eletto sindaco di Arta Terme, Comune che guiderà fino al 1994. Nel ’93 alle regionali viene battuto da Toni Martini. Ma non si perede d’animo.

Con Biasutti l’idillio continua fino al 1992, anno in cui Bertuzzi, da capo della segreteria, inceppa in un incidente di percorso – collaterale al clima da caccia alle streghe messo in atto da Tangentopoli – per una vicenda di pubblicità legata a media e politici. È quanto basta a obbligarlo al “confino” nella sede staccata della Regione, a Tolmezzo. Lavora all’Urp, Ufficio relazioni con il pubblico.

Resterà nel cuore della Carnia fino a quando la bonaccia tornerà nell’agone politico. Bertuzzi da stakanovista qual è nel frattempo studia e si laurea in Scienze politiche e Giurisprudenza. E anche qui i malevoli sostengono che ha cercato sedi universitarie meno difficili da quelle regionali. Lui non fa una piega. Non reagisce. Non entra mai in polemica.

E continua a starsene discosto nel periodo del tourbillon istituzionale. Dal 14 gennaio 1992 al 15 giugno 2001 alla guida delle Regione si susseguono nell’ordine Vinicio Turello, Pietro Fontanini, Renzo Travanut, Alessandra Guerra, Sergio Cecotti, Giancarlo Cruder e Roberto Antonione.

Il 15 giugno 2001 irrompe sulla scena Renzo Tondo. E per Bertuzzi si spalancano nuovamente le porte del paradiso.

«Avevo una sorta di furia iconoclasta e mi ero fissato di risparmiare in polemica con Illy – racconta Tondo –, e così abolii i ruoli di direttore generale dell’allora Andrea Viero e di responsabile della Comunicazioni di Fabio de Visentini. E nel frattempo era andato in pensione il segretario generale Vittorio Zollia. E così...».

E così Bertuzzi – che nel frattempo accumula una serie master e di dottorati – diventa il burocrate più potente della Regione. Sono gli anni del suo massimo potere. È capo di gabinetto e segretario generale e in più non deve fare i conti né con un direttore generale, né con un responsabile della comunicazione.

Forse è per questo che tra lui è Tondo i rapporti sono rimasti buoni, ma per lo più formali. Tondo gli concede però tuttora «una grande capacità operativa e un forte capacità di tenuta istituzionale indipendentemente dall’interlocutore politico. Inutile che aggiunga che ha ottime conoscenze e altrettante relazioni che si è costruito negli anni. Professionalmente lo stimo molto».

Non sappiamo quale sia il giudizio di Bertuzzi su Tondo. Bertuzzi non ama riflettori, giornalisti, mondanità e tanto meno le interviste. «È sfuggente – afferma un suo collaboratore – forse perché sa stare con tutti e con nessuno». Ama invece i salotti che contano, siano essi di politici, cardinali o burocrati.

La sua capacità di dialogo con i vertici ecclesiastici è arcinota e attorno a essa si inseguono da anni ipotesi come quella che lui apparterrebbe all’Opus Dei. Di vero c’è invece che nel 2003-2004 è stato docente di Diritto processuale canonico alla facoltà di Scienze politiche di Trieste, che ha pubblicato “La Comunione di vita d’Amore nel matrimonio canonico” e “Il Patriarcato di Aquileia – aspetti storici e canonici” e che è Difensore del Vincolo deputatus del Tribunale ecclesiastico del Triveneto. Il resto, appunto, sono ipotesi.

E di vero – asseriscono i suoi collaboratori – ci sarebbe anche il fatto del suo migliore feeling con il vicepresidente della Regione, Sergio Bolzonello, per la sua vicinanza al Collegio dei salesiani Don Bosco di Pordenone, piuttosto che con la governatrice, forse ritenuta da lui un po’ troppo laica.

Quando Riccardo Illy nel 2003 batte Tondo alle elezioni, Bertuzzi viene confermato capo di gabinetto. Illy gli riconosce l’incredibile facilità di intessere relazioni che contano, soprattutto a Roma.

Sa insomma che è un vero burocrate invisibile. Per Bertuzzi è un quinquennio tranquillo nel rispetto delle reciproche competenze. Che gli verranno riconosciute anche da Debora Serracchiani, che lo nomina nel 2013 segretario generale della Giunta. Bertuzzi, tuttavia, si trova adesso in mezzo a due fedelissimi della presidente: Agostino Maio, che è capo di gabinetto, e Roberto Finardi, direttore generale.

Ridimensionato, ma sempre ligio e imperscrutabile. Sono in molti a sostenere che il suo futuro più che triestino sarà romano. Dove? «Bertuzzi ha tante chances, conosce il mondo», osa il capo segreteria, Giorgio Baiutti.

Così, qualcuno lo prefigura al Consiglio di Stato o membro laico della Corte dei Conti o al vertice di altri organismi. Ma se glielo chiedessero, la domanda rimbalzerebbe nel suo sorriso un po’ curiale, un po’ furbetto. E un po’ indecifrabile.

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