Dalla tempesta Vaia alla “farina di bosco”: ecco il pane con la corteccia

UDINE. Si può davvero ottenere farina dalla corteccia di un albero e produrre il pane? Sì, parola di Stefano Basello. Un’antica ricetta utilizzata dai contadini in tempo di carestia è diventata il progetto di recupero e riuso degli abeti della montagna friulana distrutti dalla tempesta Vaia.
“Per fare il pane ci vuole l’albero” è lo slogan adottato dello chef del ristorante Il Fogolar Là di Moret, sulla falsariga della famosa canzone per bambini di Gianni Rodari e Sergio Endrigo. È tutto vero, il pane con la farina ricavata da un albero Stefano lo fa per davvero.
La sua “farina di bosco”, che deriva dalla lavorazione del fusto dell’abete rosso e bianco di Sappada e dello Zoncolan, viene utilizzata per produrre un pane dal sapore “buono” sia per i valori nutrizionali quanto per la sostenibilità ambientale.
Il progetto, che nasce dopo la devastazione dell’ottobre 2018, è stato presentato ieri all’Ires Fvg per l’inaugurazione dei nuovi locali cucina dell’istituto ed è – come spiega lo chef – «l’unione di tre idee: valorizzare il territorio regionale, recuperare antiche tradizioni e sviluppare una cucina di ricerca».
Come fa Stefano a fare il “pane di corteccia”? Con lo stesso procedimento del pane normale ma utilizzando gli alberi che vengono abbattuti o che, una volta caduti, mantengono le radici ancorate al terreno conservando così tutti i principi nutritivi.
La raccolta della corteccia viene fatta a mano entro tre settimane dal taglio, pena la perdita dei caratteristici profumi e sapori. La scorza viene privata della parte interna viva (dove passa la linfa) e il ricavato essiccato a 60 gradi per 16 ore. Infine viene tritato, ridotto in farina e passato allo stoccaggio in lotti in base a quanto abete c’è all’interno. A questo punto si può procedere all’aggiunta di una farina integrale biologica e alla panificazione con il lievito madre liquido.
«Ci vogliono otto ore di lavoro per ottenere 600 grammi di farina» ha svelato Basello. Il risultato è un pane “balsamico” che cambia sapore durante il corso dell’anno e, se tagliato ancora caldo, sprigiona tutti i profumi del bosco. Così un territorio devastato e la sua natura tornano a vivere. Basta chiudere gli occhi e ci si ritrova catapultati tra gli abeti della montagna friulana.
«Vorrei che questo progetto diventasse un volano per l’attrattiva turistica montana. Ho ricevuto richieste dalle regioni vicine per commercializzare questa farina ma vorrei che l’iniziativa si sviluppasse in regione. Ci appartiene perché identitaria» ha spiegato lo chef, che oltre all’abete fa anche il pane di licheni (muschi degli alberi) e di ghiande del Friuli Collinare.
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