Dalla chat al sesso, 5 anni per violenza
Un uomo condannato per abusi al parco del Cormor su una ragazza con problemi d’inferiorità psichica e di trent’anni anni più giovane

Si conoscono attraverso Badoo, il social network che consente a persone di tutto il mondo di chattare e magari anche di darsi un appuntamento “dal vivo”, intraprendono una relazione sentimentale e tutto sembra filare liscio per oltre un anno. A dispetto della notevole differenza d’età, quindi - lui, classe 1960, ha 30 anni più di lei -, e del «disturbo cognitivo lieve moderato» di cui la ragazza è affetta. Finchè, nel maggio del 2012, il padre della giovane non intercetta una loro telefonata e, furibondo, lo accusa di averla violentata. È l’inizio della fine. Spezzato l’idillio, il caso rimbalza in breve in Questura e, da qui, in Procura.
La sentenza emessa dal gup del tribunale di Udine, Matteo Carlisi, al termine del processo celebrato nei confronti dell’uomo con rito abbreviato condizionato a una perizia sulle capacità della ragazza di dare un valido consenso, si è chiuso esattamente come avevano chiesto il pm Annunziata Puglia, titolare del fascicolo, e il legale di parte civile: 5 anni di reclusione, con interdizione perpetua dai pubblici uffici e da quelli di tutela, curatela e amministrazione di sostegno, e risarcimento dei danni alla ragazza, per una liquidazione complessiva di 20 mila euro. Era stato accusato di violenza sessuale per costrizione, per un unico episodio avvenuto al parco del Cormor, nella sua auto, dove la giovane era stata costretta a subire un rapporto completo, e di violenza sessuale per induzione, per una serie di altri atti compiuti con abuso delle sue condizioni di inferiorità psichica. Verdetto di assoluzione, invece, per l’ipotesi di atti osceni in luogo pubblico (l’auto, appunto), non essendo più previsto dalla legge come reato.
I difensori, avvocati Luigi Francesco Rossi e Federica Tosel, avevano isistito per l’assoluzione a tutto campo, sostenendo innanzitutto una «profonda contraddittorietà dell’imputazione», che per un episodio attribuiva alla parte offesa «una consapevolezza della dinamica sessuale tra adulti consenzienti tale, da essere in grado di rifiutarla» (dopo la violenza la ragazza era scappata, rifugiandosi in un bagno) e per gli altri «le negava la maturità necessaria a formare quella consapevolezza». Secondo i legali, inoltre, l’impianto accusatorio era stato costruito su «un quadro probatorio lacunoso» e «sulle sole dichiarazioni rese dalla ragazza in ospedale», quando fu visitata.
Completamente diversa, del resto, era stata la versione che dei fatti aveva reso lo stesso imputato, nelle tre paginette consegnate al giudice per inquadrare la relazione instaurata con la giovane. «Provavamo gli stessi sentimenti – aveva spiegato –. Tra di noi c’era qualcosa che sfuggiva a ogni logica. Ci eravamo semplicemente innamorati. La differenza d’età era diventata per noi un concetto privo di valore. Non ho mai approfittato di lei». Nessun sesso “rapinato”, quindi, «ma una storia durata oltre un anno e documentata da centinaia di chat – hanno osservato gli avvocato Rossi e Tosel –. Condannando l’imputato, e cioè impedendogli di approfittare dei favori, anche sessuali, della parte offesa, il gup ha posto sul futuro della ragazza una sorta di cintura di castità in carta bollata, trasformandola in una specie di untrice in balia delle valutazioni del tutore. Quindi, niente sesso, se non sotto tutela, nè relazioni sentimentali, gravidanze e matrimonio». Scontato l’appello, «che – chiosa la difesa – servirà a evitare due ingiustizie».
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto
Leggi anche
Video