Dal campione del mondo ai super premiati tremano i big del bianco

L’inchiesta travolge il medagliere del Concours de Sauvignon. Tra storici marchi e giovani emergenti dei Superwhites

UDINE. Ah, les italiens... Rispolvereranno il solito clichè, i francesi. Quella frase che, appiccicata a scandali e scandaletti vari, abbiamo sentito mille volte e che già da sola, condita da un profondo sospiro e da un’occhiataccia, esprime un severo, quanto inappellabile, disappunto.

Ma stavolta, se le accuse della Procura di Udine sulla sofisticazione del Sauvignon dovessero passare indenni il vaglio di giudici e tribunali, magari fino in Cassazione, l’avremmo fatta proprio grossa. E ad arrossire saremmo soprattutto noi friulani.

Perchè tra le 17 aziende indagate dal magistrato ben 15 vivono e operano tra il Livenza e l’Isonzo. Alcune sono delle vere e proprie istituzioni nel settore.

E otto di queste hanno vinto medaglie d’oro e d’argento al “Concours mondial de Sauvignon”, organizzato da Vinopres, l’associazione franco-belga che lo ha lanciato in tutto il mondo.

Ironia della sorte, l’ultima edizione, la prima in assoluto fuori dai confini della Francia, si è svolta nel maggio scorso tra Udine, Buttrio e Manzano, con il sostegno della Regione che ci ha messo un bel gruzzolo (100 mila euro in due anni) e l’organizzazione del Consorzio regionale delle Doc.

Doveva essere la definitiva consacrazione dei Superwhites made in Friuli, dopo l’exploit del 2014, quando il Tiare di Roberto Snidarcig, un piccolo produttore di Dolegna, era stato addirittura portato in trionfo come il miglior Sauvignon del mondo.

Un premio, quello a Tiare, che aveva finalmente consentito di puntare i riflettori sul mondo vinicolo regionale, che ne usciva con un’immagine splendente, un fenomeno da studiare a livello planetario.

Perchè il prodotto di una terra che è un fazzoletto, stretta tra il mare Adriatico e le Alpi Giulie e Carniche, aveva messo in riga i maestri d’Oltralpe, che da sempre si attribuiscono una sorta di primato inavvicinabile in fatto di vini, ma anche la Nuova Zelanda, il Cile, e molti altri Paesi.

E adesso? L’inchiesta di Udine rischia di avere gli effetti di un destro di Mike Tyson in faccia. E di gettare ombre anche su chi quelle sostanze non le ha mai usate. E allora ecco l’elenco delle etichette sotto inchiesta, di chi ha ricevuto la visita dei Nas e i sequestri di materiale in cantina.

Tutti vignaioli delle Doc Collio e Colli Orientali. Insomma il gotha, o parte di esso. C’è Adriano Gigante di Corno di Rosazzo, Roberto Snidarcig titolare del famoso Tiare, Michele Luisa delle omonime tenute di Corona.

E ancora Valerio Marinig di Prepotto, Paolo Rodaro di Spessa di Cividale, Pierpaolo Pecorari di San Lorenzo Isontino, Anna Muzzolini dell’azienda agricola “Iole” di Prepotto, Roberto Folla titolare dell’azienda Cortona con sede a Villa Vicentina, Luca Caporale dell’azienda “Venchiarezza” con sede a Cividale, i fratelli Stanig di Prepotto, Andrea Visintin dell’azienda “Magnas” di Cormons, Cristian Ballaminut di Terzo d’Aquileia, Cristian Specogna di Corno di Rosazzo, Gianni Sgubin di Mernico, frazione di Dolegna al confine con la Slovenia, Filippo Butussi di Corno di Rosazzo.

Otto di questi hanno vinto medaglie d’oro e d’argento al Concours mondial de Sauvignon del 2015, addirittura il vino di Cristian Specogna, che di recente ha portato le sue bottiglie più pregiate nei box Ferrari e al principe Alberto a Montecarlo, è stato giudicato il migliore d’Italia.

La Regione, in attesa del profluvio delle dichiarazioni che verranno, pare non l’abbia presa bene. «Ringrazio la magistratura e le forze dell’ordine per il loro intervento, perché qualsiasi contraffazione ai danni della genuinità del vino e della buona fede dei cittadini va combattuta e sanzionata», dice a caldo l’assessore all’Agricoltura Cristiano Shaurli.

«Il vino è un orgoglio della nostra terra e questi fatti colpiscono tutti: il cittadino consumatore, ma anche le istituzioni e i produttori onesti - aggiunge l’assessore -. Abbiamo portato il mondiale del Sauvignon per la prima volta in Friuli Venezia Giulia proprio puntando alla sua valorizzazione in termini di eccellenza: ferme restando le garanzie di legge, si tratta di un episodio che è dannoso già a livello d’immagine».

E la presidente Debora Serracchiani, che alza un calice all’inaugurazione di Friuli Doc, ammette che da tale vicenda «può essere investito l’intero sistema Paese». Insomma una bufera nella bufera, in attesa del giudizio, insindacabile, dei francesi organizzatori del Concours.

Per adesso Thomas Costenoble, organizzatore e patron del premio, tace. Ma la sentenza, prima o poi, verrà. E per i vignaioli coinvolti sarà peggio di quella emessa da un tribunale. Perchè in fondo non si bara con i sentimenti. E il vino, in Friuli, è sentimento e amore vero.

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