Da San Pietro al Natisone a compagno di Zico e poi Maradona, i 60 anni di classe di Paolo Miano

Il suo grande cruccio: "Papà non mi ha mai visto giocare in serie A"
Udine 17 Febbraio 2017. Zico con Paolo Miano allo Stadio Friuli. © Petrussi Foto Press
Udine 17 Febbraio 2017. Zico con Paolo Miano allo Stadio Friuli. © Petrussi Foto Press

UDINE. Sessant’anni di classe. Sì perché anche oggi che insegna tecnica calcistica ai bambini, Paolo Miano il pallone non lo tocca, lo accarezza. Il ragazzino che negli anni Settanta faceva la spola da San Pietro al Natisone a Udine, oggi è un signore con qualche capello grigio, ma con uno spessore morale e un modo di raccontare le cose che conquista: genuino e un po’ malinconico figlio del tempo che passa. «Ho sempre giocato a calcio perché mi divertivo, non ho mai pensato a fare carriera. L’unico mio cruccio è aver giocato in serie A senza che mio padre potesse vedermi. È mancato quando avevo 19 anni».

San Piaetro al Natisone 4 Gennaio 2008. Riproduzione foto Paolo Miano. Telefoto Copyright /Foto Agency Anteprima Udine.
San Piaetro al Natisone 4 Gennaio 2008. Riproduzione foto Paolo Miano. Telefoto Copyright /Foto Agency Anteprima Udine.


Papà Luciano faceva il maestro elementare, come mamma Bianca che se n’è andata una decina di anni fa. «Era un appassionato, aveva anche giocato nella Juventina, mia zia cuciva le maglie. Non è stato un genitore ossessivo. Non mi ha mai detto se avevo giocato bene o male e oggi quando incontro le famiglie dei bambini cui insegno la tecnica calcistica porto sempre lui a esempio: non mettete becco nelle scelte degli allenatori, non sono argomenti che vi riguardano».


Paolo è il più piccolo di tre fratelli. Prima è arrivato Giovanni (classe ’57) che ha giocato in porta a livello dilettantistico, poi Massimo (’59) che giocò un anno nel settore giovanile del Milan e poi lui (’61). Per anni si è detto che Massimo fosse il vero talento della famiglia.

«Era un centrocampista di quantità e qualità, poi quando ha deciso di fermarsi ai dilettanti è andato a fare la punta e segnava un sacco di gol». Miano è arrivato all’Udinese nell’estate del 1973. Il primo anno, quando era ancora alle medie, ci pensava la bidella ad accompagnarlo a Cividale a prendere la littorina che l’avrebbe portato a Udine, poi il bus nº 5 destinazione Tomadini o il nº 4 per recarsi al Moretti. Ma i ricordi più emozionanti sono quelli del rito della domenica mattina quando papà Luciano portava lui e Massimo a Udine. «Prima tappa la messa alle Grazie – racconta –, poi la colazione quindi via al Moretti: chi giocava in casa restava lì, l’altro saliva sul pullman per andare in trasferta».


Il flash del provino al Moretti è un campo verdissimo: «Una cosa classica, dietro la porta sud. Io ricordo colore dell’erba perfettamente tagliata. Nel pomeriggio si sarebbe giocata un’amichevole con il Genoa: Mariolino Corso segnò due gol su punizione». La scuola non è mai stata una sua passione, però si è iscritto a ragioneria e, pur perdendo un anno, ha ottenuto il diploma: «Più che alto mi hanno dato un calcio nel sedere. La quinta l’ho fatta da privatista al Kennedy, sono uscito col 36, il minimo».


I suoi compagni d’avventura sono stati da subito Trombetta e Cinello. «Vincevamo tutte le partite con sei- sette gol di scarto. All’Udinese andava la crema del Friuli allora». A portarlo a Udine fu il professor Lizzero, quello che considera il suo vero papà calcistico e il grande Silvano Pravisano. «Mi ha dato le basi per fare il mestiere di oggi: maestro di tecnica calcistica. Pravisano era ossessionato dalla tecnica: finta, calcio, arresto e tiro».

Dopo un due anni di Primavera e con qualche gettone in Coppa Italia con la prima squadra di Giacomini che vinse il campionato di C, a 17 anni si ritrovò ceduto al Genoa: «Dovevo andare a Conegliano, la società satellite dell’Udinese dove sono cresciuti Borin, Gerolin, Papais, Pradella, poi fui inserito nell’affare Boito. Ci allenavamo al Pio XII, i miei compagni si chiamavano Damiani, Bruno Conti, Nela, Corradini». Eppure arrivò solo una salvezza sofferta. «L’anno dopo con Di Marzio in panchina che mi vedeva poco chiesi di farmi avvicinare a casa: Trieste o Treviso. Mi ritrovai a ... Cava dei Tirreni. Esperienza forte, devo dire che mi fece maturare molto».


Il rientro a Udine nell’estate dell’80. Allenatori prima Perani e poi Giagnoni. La svolta a metà febbraio con l’esonero del tecnico sardo e la promozione dalla Primavera di Enzo Ferrari che alla prima gara con la Pistoiese lo gettò nella mischia dal primo minuto. Quella fu la stagione della salvezza all’ultimo minuto di campionato con il gol decisivo di Gerolin al Napoli: «Io della partita ho immagini sfumate, ma ricordo bene che ci tuffammo con le divise sociali nella fontana di piazza Primo Maggio».


Quella salvezza è la prima emozione da circoletto rosso della carriera di Miano, la seconda porta un nome, anzi, un marchio, quello di Zico. «Lo conobbi nel gennaio dell’81 quando arrivò a Udine con una rappresentativa di calciatori brasiliani per disputare una amichevole a favore dei terremotati dell’Irpinia. Erano in dodici, faceva un freddo cane, si presentarono con magliette a manica corta, scarpini con i tacchetti di gomma. Siccome avevano un solo cambio, vennero nel nostro spogliatoio a chiedere se c’era qualcuno che si offriva ad andare con loro fui l’unico ad alzare la mano».

Paolo non entrò, Zico segnò un gol. Ne fece molti di più al suo primo anno in maglia bianconera. «I primi due mesi furono incredibili: in precampionato battemmo il Real Madrid, il Vasco de Gama, in campionato nelle prime quattro gare il Galinho fece sei gol. “Ma noi giochiamo con questo qui?”. L’immagine più nitida che Paolo si porta dietro di Zico è un’altra: «Noi facemmo una tourneè in Brasile . Una sera arrivò Dal Cin in ritiro e ci disse che per le 19 avremmo dovuto presentarci tutti nella hall in divisa perché arrivava a salutarci Zico il nostro nuovo compagno di squadra. Eravamo in fila come degli scolaretti».


Era il 1983 e Miano era già... Ze Paolo. «Quel soprannome me lo diede Ferrari: durante una partitella in famiglia mentre io mi fingevo Paolo Isidoro. “Ma quale Paolo Isidoro, tu sei Ze Paolo”. E quello è rimasto». Zico è anche il pubblico di Genoa e Catania che lo applaude dopo aver fatto gol. È la voglia di non smettere mai di migliorarsi per affinare la tecnica sui calci piazzato.


L’ultimo anno di Miano con la maglia bianconera fu il primo dei Pozzo alla guida del club. A fine stagione, complice la penalizzazione in serie B, arrivò la retrocessione: «Dal Cin mi chiamò avvisandomi che sarei andato al Torino. Pochi giorni dopo, cambio di rotta: Napoli. Il motivo? Moggi era passato dal Toro al Napoli». Un anno solo come compagno di Maradona e uno scudetto perso subendo la rimonta del primo Milan di Sacchi: «Diego lo vedevamo quasi solo al campo d’allenamento. Con noi non poteva uscire a mangiare una pizza. Una volta prenotò un intero ristorante per festeggiare con la squadra il compleanno della moglie. La domenica mattina era la sveglia mia e di Francini che eravamo suoi vicini di camera: si metteva a cantare a squarciagola “Perdere l’amore” di Massimo Ranieri».


Dal 2009 al 2018 Miano è ritornato all’Udinese. Il primo anno ha lavorato con la Primavera, già al secondo è stato promosso in prima squadra. Ma l’avvio fu con il brivido: «Quando mi presentai nel ritiro di Arta Guidolin era all’oscuro di tutto. Gelo. Sapete cosa pensa in questi casi il tecnico: “Ecco, la società mi ha messo la spia in spogliatoio per vedere come lavoro”. Per fortuna nello staff c’era il professor Bordon mio compaesano che ha sbloccato la situazione. Il lavoro poi è stato proficuo credo».


Si perchè oggi Miano quando vede che Bruno Fernandes è diventato uno dei calciatori top in Europa ricorda come certi colpi il portoghese abbia cominciato ad affinarli sotto la sua guida. «Il merito maggiore è ovviamente degli allenatori – sottolinea – ma anche io ho portato il mio piccolo contributo. Bruno era giovanissimo ma riconosceva l’utilità di quel lavoro. La cosa più bella è vedere che ci credevano anche i più esperti come Danilo e Denis». Il Tanque a Napoli, con Di Natale e Sanchez squalificati segnò un gol con una giocata (stop di petto e conclusione rapida al volo) provata e riprovata in allenamento. «Ero davanti alla tv e godevo come un pazzo». Oggi lavora con i bambini: «È cambiato il palcoscenico, ma quando riscontri dei miglioramenti la soddisfazione è sempre la stessa». Che classe, Ze Paolo.
 

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