Da Milano tornano a Gorizia Il prefetto li rimette sul treno

Un gruppo di 18 afgani ha lasciato il campo di Bresso ed è riapparso alla Caritas Zappalorto ha pagato di tasca propria i biglietti e li ha rispediti in Lombardia
Di Vincenzo Compagnone
Bumbaca Gorizia 05.10.2014 Stazione FS di Gorizia Fotografia di RobertoMarega
Bumbaca Gorizia 05.10.2014 Stazione FS di Gorizia Fotografia di RobertoMarega

Li portano venerdì sera a Milano in pullman, scortati dalle auto della polizia. Non passano neanche due giorni e domenica mattina, in 18, si allontanano dal campo profughi di Bresso, raggiungono la stazione centrale e, in treno, tornano a Gorizia, Ma qui ormai non ci possono più stare: gli agenti ne trovano 12 nei pressi della Caritas di piazza San Francesco e scatta l’operazione-ritorno in terra lombarda.

È lo stesso prefetto Vittorio Zappalorto, per superare alcune difficoltà burocratiche, a recarsi ieri mattina alla stazione ferroviaria e a pagare i biglietti del treno con la propria carta di credito. E così i 12 (gli altri 6, nel momento in cui scriviamo, si sono resi irreperibili) intraprendono un nuovo viaggio alla volta di Milano, guardati a vista sul convoglio dalla polizia ferroviaria.

È soltanto l’ultimo - e per certi versi incredibile - risvolto dell’emergenza-profughi che da mesi ormai sta tenendo banco nella nostra città. Un episodio che dimostra con quanta difficoltà si riesca (o non si riesca) a gestire il continuo arrivo, l’accoglimento e i (finora rari) trasferimenti dei richiedenti asilo.

I 18 afgani in questione facevano parte del contingente più corposo, 108 in tutto, di immigrati per i quali il ministero degli interni e la Prefettura avevano deciso, la scorsa settimana, il trasloco in altri lidi. Venerdì su un pullman erano saliti in 56: 10 diretti a Genova e 45 a Bresso, un piccolo Comune dell’Hinterland milanese dove la Croce rossa gestisce una tendopoli che funge da centro di smistamento verso altre strutture. Il giorno dopo, altri 52 erano partiti alla volta di Teramo.

I profughi portati a Genova e a Bresso erano privi di convenzione. Dormivano nella sala mensa della Caritas oppure all’addiaccio, davanti alla chiesa dei Cappuccini. Una situazione insostenibile, rappresentata dal sindaco, Ettore Romoli, al viceministro Filippo Bubbico, in visita una settimana fa alla nostra regione.

Ma cosa ha spinto i 18 afgani a scappare dalla tendopoli e a tornare a Gorizia, dove vivevano in condizioni veramente precarie, con i loro mezzi? Zappalorto non si sbilancia: «Mah - dice al telefono il prefetto -, hanno tirato fuori un sacco di scuse». La chiave di lettura più plausibile sembra essere questa: i richiedenti asilo, in realtà, vorrebbero ottenere il più presto possibile, dalla famosa commissione preposta, lo status di rifugiati. Sembra che, a fronte dei 6-7 mesi che si prospettano loro a Gorizia, dove le procedure si sono un po’ alleggerite dopo l’attivazione della seconda commissione per il Triveneto a Verona, i tempi della omologa commissione milanese siano ben più lunghi: qualcuno parla addirittura di 2 anni.

Fatto sta che i criteri con cui sono stati scelti i 108 da trasferire non hanno soddisfatto il direttore della Caritas, don Paolo Zuttion: «Alcuni di loro - commenta il sacerdote - avrebbero dovuto sostenere a breve l’esame davanti alla commissione goriziana. Alcuni di quelli che si trovavano al Nazareno, poi, stavano seguendo con profitto dei corsi ai fini di una loro integrazione».

D’altra parte, la città andava alleggerita dal peso ormai enorme di tanti profughi, e qualcosa bisognava fare. Ma che fatica, ragazzi!

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