Cultura in lutto, morto per Covid l'attore e regista Gigi Dall'Aglio

Aveva 77 anni: aveva a lungo collaborato con i teatri del Friuli Venezia Giulia

UDINE. E’ morto sabato 5 dicembre, all’eta di 77 per Covid, l’attore, regista e pedagogo Gigi Dall’Aglio, proprio alla vigilia del debutto del suo ultimo lavoro che quasi programmaticamente si intitola Il teatro non muore, a conferma di quella passione e generosità, nonché lungimiranza e fede nella necessità del teatro per un paese civile che aveva contraddistinto tutta la su carriera di teatrante impegnato. Carriera che comincia a Parma, dove alla fine dei ’60 fonda Il Collettivo, una delle prime cooperative teatrali italiane che tanto informerà nel segno dell’innovazione spettacolare produttiva e distributiva quella felice stagione.

Carriera che troverà nella nostra regione, in Friuli in particolare, uno dei suoi momenti più importanti e da lui tanto amati. Comincia Dall’Aglio ad affacciarsi sui nostri palcoscenici nel 1983, alla prima stagione di Teatro Contatto con due spettacoli, Amleto e Macbeth, altrettante rivisitazioni dei due capolavori shakespeariani in chiave di attualità e urgenza. E con il CSS il rapporto si rafforzerà con la sua partecipazione come docente a Fare Teatro (1987 -’90), la scuola per attori da cui sono usciti tutti i protagonisti del teatro friulano di questi tempi.

E con loro Dall’Aglio realizza per Mittelfest 2000 quello che rimane una pietra miliare nel teatro friulano contemporaneo, vale a dire Bigatis, uno spettacolo su testo di Elio Bartolini e Paolo Patui, storie di donne friulane per una celebrazione laica del mondo delle filande e delle filandere. Il sodalizio con Paolo Patui si rinnova altre due volte: nel 2008 con la, riscrittura in friulano di The long Christmas dinner, capolavoro dell’americano Thornton Wilder, diventato per l’occasione La lungje cene di Nadàl, una storia di cambiamenti e di resistenza agli stessi, fotografata nelle vicende di una famiglia friulana colte in uno dei momenti topici dell’universo famigliare, vale a dire la cena di natale e il suo ricco immaginario di simboli e ideali, che copre l’arco di tre generazioni, dall’indomani della prima guerra mondiale ai nostri travagliatissimi giorni e che nella versione filmata verrà trasmesso dalla Rai regionale sotto Natale.

La seconda occasione nel 2011 è la messa in scena di Pieri da Brazzà sulla figura dell’esploratore friulano del secondo ‘800 Pietro Savorgnan di Brazzà, anche pretesto per  suggerire alcune riflessioni sul Friuli d’oggi, sul suo essere terra d’accoglienza e non più di faticata emigrazione. Questo spettacolo come anche il successivo, un collage di brevi testi in friulano affidati a più voci, Siums, rientrava nell’attività della Farie, il progetto di rilancio e innovazione della scena in friulano del CSS che aveva in Gigi Dall’Aglio il suo direttore artistico, “perché, come ricorda commosso Alberto Bevilacqua, Gigi si era profondamente innamorato del nostro territorio, della sua lingua in particolare in cui vedeva delle enormi potenzialità espressive.” Un friulano non appiattito su schemi preordinati di una koiné stabilita a tavolino, alle cui sue molte  e genuine vulgate Dall’Aglio si era autenticamente appassionato.

Tanto da ricordare, nell’ultima chiacchierata che ebbi con lui qualche mese fa, quei due anni della Farie come un’esperienza tra le più sentite e vissute con slancio della sua lunga militanza teatrale. Esperienza sulla cui fine - una sorta di inspiegabile sfinimento per ragioni che esulavano dalla sua responsabilità artistica, non ebbe parole di accusa o di rancore. Perché Gigi era così, limpido, modesto, sincero, buono, una rarità nell’ambiente teatrale, visto che non ‘se la tirava’ mai. E così lo ricorda anche Patui, che sottolinea, oltre all’umanità, alla gentilezza e disponibilità di un carattere veramente solare, la sua straordinaria capacità di insegnare, non solo a stare sul palcoscenico, ma soprattutto il senso profondo e autentico del fare teatro.

 

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