Crac Giuliane: in dieci nei guai, a giudizio Midolini e Fadalti

UDINE. Bancarotta fraudolenta, semplice e ricorso abusivo al credito. Sono le ipotesi di reato contestate nell’ambito del fallimento della Giuliane Dmp di Mortesins di Ruda per la quale la procura di Udine ha indagato dieci persone.
Il procedimento è approdato ieri davanti al giudice per l’udienza preliminare Daniele Faleschini Barnaba e si è chiuso per il 67enne di Fontanafredda Ivo Giovanni Carlot, presidente del consiglio di amministrazione fino al 22 ottobre 2014 con un patteggiamento a un anno e 10 mesi di reclusione, pena sospesa. Si andrà invece a dibattimento per definire le posizioni di sei indagati, tutti rinviati a giudizio.
Il processo si aprirà il 20 febbraio per gli ex consiglieri Stefano Midolini, 56enne udinese difeso dell’avvocato Luca Ponti, Piero Fadalti 63enne di Sacile difeso dall’avvocato Marco Zucchiatti, Francesco Adami, 55enne di Vicenza, assistito dal legale Mario Calgaro, gli amministratori delegati Gianluca Pertile 53 anni di Zugliano, difeso dall’avvocato Paola Strada, Gianfranco Dalla Mora, 61enne di San Donà di Piave (avvocato Manola Faggiotto) e Renato Murer, 71enne di San Donà di Piave, sindaco effettivo dal 21 gennaio 2011 al 7 novembre 2014 (avvocato Renzo Fogliata).
Accogliendo la richiesta dei difensori, il giudice ha pronunciato una sentenza di non luogo a procedere nei confronti di Giovanni Azzano Cantarutti, 70enne udinese difeso dall’avvocato Luca Ponti, Paolo Mocellin 73enne di Vicenza (avvocato Lorenzo Cudini), e Giancarlo Tamiozzo, 63enne di Thiene (avvocato Mario Calgaro).
Con il fallimento della Dmp, decretato dal tribunale di Udine il 29 gennaio 2015 l’azienda che occupava 44 dipendenti nella produzione di solai e manufatti in cemento chiuse i battenti.
Tre le ipotesi di reato contestate: innanzitutto quella della bancarotta semplice a carico di Carlot, Adami, Pertile, Dalla Mora, Tamiozzo, Mocellin e Murer perché, stando all’ipotesi dell’accusa illustrata dal pm Elisa Calligaris, adottando relative delibere o, nel caso del collegio sindacale, omettendo l’esercizio del controllo, aggravavano il dissesto omettendo di richiedere il fallimento della società nonostante questo si fosse evidenziato sin dal 2010.
L’accusa di bancarotta fraudolenta era stata contestata perché, secondo la Procura, gli indagati esponevano nei bilanci chiusi al 31 dicembre del 2008 e del 2011 fatti materiali che non corrispondevano al vero. Così facendo avrebbero occultato il dissesto e conseguito una significativa riduzione delle perdite con concreta capacità ingannatoria in danno di terzi sulla reale consistenza patrimoniale della società e sulla prospettiva della continuità aziendale.
A Carlot, Adami, Pertile e Dalla Mora venivano inoltre contestate le accuse di ricorso abusivo al credito con la sottoscrizione di contratti di finanziamento e di mutuo ipotecario dissimulando il dissesto e lo stato di insolvenza dell’azienda.
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