Corruzione, nei guai l’ex e il nuovo ad della Pilosio

Il pm di Udine ha iscritto nell’elenco degli indagati anche Roustayan e Strunz. L’accusa è di avere "oliato" un funzionario ministeriale
Feletto Umberto 18 novembre 2016.Stabilemento della Pilosio..Copyright Foto Petrussi / Ferraro Simone
Feletto Umberto 18 novembre 2016.Stabilemento della Pilosio..Copyright Foto Petrussi / Ferraro Simone

UDINE. Se in Pilosio giravano mazzette, i vertici non potevano non sapere: gli inquirenti, questo, lo hanno sempre sospettato. E ora, a oltre sei mesi di indagini, qualche riscontro investigativo deve pure essere arrivato, se si è deciso di allungare la lista degli indagati.

Non foss’altro, per consentire anche a loro, da subito, di difendersi. Negando, spiegando, o circostanziando tempi e modi. Nel filone d’inchiesta per presunta corruzione, scaturito dall’indagine madre con cui la Procura di Udine ipotizza invece la corruzione internazionale su appalti milionari all’estero, a comparire adesso sono anche i nomi dell’ex amministratore delegato Dario Roustayan, del suo successore austriaco Johann Strunz, e del direttore operativo Enrico Colautti.

La chiusura delle indagini preliminari, coordinate dal pm Marco Panzeri, è attesa a breve. Senz’altro dopo che anche l’ad in carica, difeso dall’avvocato Francesco Mucciarelli, di Milano, sarà interrogato, come già avvenuto per Colautti, che è assistito invece dall’avvocato udinese Virio Nuzzolese.

Quanto a Roustayan, difeso dall’avvocato Luca Ponti, era già stato sentito in relazione alla vicenda principale delle presunte tangenti versate tra Arabia Saudita, Algeria e Canada, per garantire all’azienda di Feletto Umberto di cui era il ceo l’affidamento di lavori (tra il 2011 e il 2015) per diverse decine di milioni di euro. Per tutti e tre, l’imputazione è assolutamente provvisoria e, quindi, soggetta a possibili variazioni.

Ciò che per certo non cambierà è la posizione di Michele Candreva. È lui, il funzionario ministeriale che per 26 anni aveva annotato su un’agenda le mazzette intascate da imprenditori compiacenti per un ammontare di oltre 2 milioni di euro, l’uomo attorno a cui ruota l’inchiesta che, da Udine, ha finito per scardinare un meccanismo di oliatura replicato in decine di aziende dal nord al sud del Paese.

Arrestato lo scorso 18 novembre a Roma, dove abita con la moglie, e passato ai domiciliari a fine gennaio, su istanza dell’avvocato Giulia Bongiorno, è accusato di avere approfittato della propria posizione al ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, e, in particolare, degli incarichi che al suo interno gli erano stati affidati.

Come coordinatore della Commissione opere provvisionali e come presidente di quella di cui al Dm 11.04.2001, vantava una posizione tale, da garantirgli mano libera, o quasi, nella valutazione di tutta una serie di richieste presentate da ogni parte d’Italia. A cominciare proprio dalle istanze di commercializzazione di ponteggi industriali e civili che gli venivano sottoposte anche dalla Pilosio spa.

Il vantaggio era immediato per tutti: lui controllava che la documentazione che avrebbe ritrovato poi sul suo stesso tavolo fosse corretta e loro, in cambio, gli pagavano una parcella, comprensiva delle spese di viaggio, vitto e alloggio, per la consulenza resa generalmente in loco. Una scorciatoia rapida e sicura, insomma.

Quando i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria guidati dal colonnello Davide Cardia erano entrati nella sua abitazione romana, nel giorno dell’arresto e delle perquisizioni, non c’era voluto molto a riconoscere in alcune buste il contante ancora fresco di consegna. Ma l’autentica svolta era arrivata dal ritrovamento del libro mastro: da una parte, la colonna delle uscite (cioè le spese sostenute per le trasferte), dall’altra, rovesciata l’agenda, quella delle entrate. Soldi incassati per lo più “kesc”, come scritto di suo pugno a consuntivo del 2015.

Gli episodi accertati a carico suo e dell’azienda friulana sono quattro, tutti comprovati dalle intercettazioni telefoniche e ambientali condotte dalle Fiamme gialle nell’ambito del filone sulla corruzione internazionale: tra il 27 maggio e il 7 agosto scorsi, per un ammontare di poco più di 4 mila euro.

E mentre il fronte penale promette di svelare a breve anche il nome delle tante altre aziende accusate di essere scese a patti con Candreva, in tribunale è un’altra la partita decisiva che la storica azienda di costruzioni friulana sta giocando per superare la crisi in cui ha finito per scivolare.

Quella del concordato preventivo chiesto a gennaio e per il quale i giudici le hanno di recente concesso una proroga di due mesi. L’obiettivo? «Chiudere con il passato e con i problemi della precedente gestione – aveva spiegato Strunz – e sostenere un piano di rilancio produttivo e commerciale».

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