Corruzione, funzionario “ripulito”

Sequestro di beni per 2,4 milioni di euro a Michele Candreva: fu oliato anche dalla Pilosio
UDINE. Quando i finanzieri di Udine erano tornati nella sua residenza romana, lo scorso 3 agosto, per dissequestrare i fascicoli che si era portato dall’ufficio e restituirli al ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, dalle carte erano spuntati altri buoni di benzina per un valore pari a circa 5 mila euro. Ancora tangenti, insomma, sfuggite alla perquisizione che, poco meno di un anno fa, aveva portato alla luce il libro mastro sui suoi quasi trent’anni di corruzione, e di cui probabilmente lui stesso non aveva più memoria, smarrite in mezzo alla montagna di mazzette accumulate da una parte all’altra della penisola. Compreso il Friuli, con la Pilosio spa di Feletto Umberto. Soldi a fiumi, capaci di proiettare la vita ordinaria di un semplice funzionario ministeriale e della sua famiglia nel meraviglioso mondo degli agi e dei lussi riservati ai più fortunati. O, come nel suo caso, ai più furbi tra i disonesti.


L’età dell’oro, per Michele Candreva, 56 anni, originario di Spezzano Albanese (Cosenza) e residente a Roma, è finita in questi giorni, con il sequestro di un patrimonio che, tra beni mobili e immobili, titoli e polizze assicurative aveva raggiunto la considerevole somma di 2,4 milioni di euro. Una mazzata pesantissima per le sue ambizioni di ricchezza e un punto importantissimo a favore della giustizia, che in questo modo ha messo al sicuro denari destinati a tornare in breve nelle casse dello Stato. Sempre che la difesa, rappresentata dallo studio dell’avvocato Giulia Bongiorno, non riesca a dimostrarne la provenienza lecita. Riconducendoli, per esempio, a lasciti ed eredità o a vincite alla Lotteria. Il provvedimento chiesto dal pm Marco Panzeri, titolare dell’inchiesta, porta la firma del gip Matteo Carlisi. Ed è una decisione che ha il sapore delle primizie, trattandosi di norma che in regione, finora, ha trovato assai rara applicazione in reati di questo tipo.


Si chiama sequestro per sproporzione e, come dettato all’articolo 12 sexies della legge 356/1992, consente di sottrarre ai corrotti e a una vasta platea di indagati per altri reati predatori, ai fini della successiva confisca, le ricchezze che non trovano giustificazione con il semplice incasso di entrate regolari. Attraverso i soli redditi, per esempio. Tanto più, come nel caso di Candreva, se pari a circa 1.600 euro al mese: uno stipendio non certo proporzionato al tenore di vita che conduceva nella Roma bene, insieme alla moglie, a sua volta funzionaria ministeriale, e ai loro due figli, entrambi iscritti in una delle più costose scuole private della capitale.


Di tutto quello sfarzo, ora, non resta più niente. A essere sigillati sono stati la casa di residenza, nel prestigioso quartiere Africano - due appartamenti uniti e trasformati in un’unica abitazione, al civico 16 di via Sabrata -, un appartamento in via Aversa e un altro in via Ghirza, un’autorimessa nella stessa zona e una Mercedes classe C del 2010, oltre a quattro depositi bancari con un saldo attivo pari a circa 400 mila euro. Una prima tranche di 400 mila euro era già stata versata su iniziativa dello stesso indagato per accedere al patteggiamento che la difesa ha proposto alla Procura, ai fini di una chiusura con rito alternativo del relativo procedimento penale avviato a suo carico. Partita cui comunque, con ogni probabilità, seguirà quella davanti alla Corte dei conti, per pagare anche il danno d’immagine procurato al ministero di cui si è rivelato essere un dipendente oltremodo infedele.


È stata la complessa e puntuale attività d’indagine condotta da oltre un anno dai finanzieri del Nucleo di polizia tributaria, al comando del colonnello Davide Cardia, a rendere possibile la ricostruzione del meccanismo di oliatura messo a punto da Candreva per sfruttare al meglio la propria posizione di coordinatore delle commissioni Opere provvisionali e Impianti di sollevamento. Intercettato nell’ambito delle indagini già in corso nei confronti dell’ex amministratore delegato della Pilosio per presunti episodi di corruzione internazionale, il funzionario romano era stato a sua volta iscritto sul registro degli indagati in un nuovo filone, volto a fare luce sulle mazzette che gli erano state versate dall’azienda per garantirsi una corsia preferenziale e certa nella stanza romana deputata a decidere se autorizzare o meno la commercializzazione di ponteggi industriali e civili.


Crollato il palco, Candreva era stato arrestato il 18 novembre 2016, in concorso con due tecnici della società di costruzioni di Feletto Umberto (entrambi ai domiciliari e poi liberati). All’elenco, qualche mese dopo si sono aggiunti i nomi di altri quattro indagati, tra dipendenti ed ex dipendenti di Pilosio.


Nel corso del blitz romano, le Fiamme gialle avevano trovato e sequestrato contanti ancora suddivisi in buste, buoni di benzina e gioielli per un valore di circa 65 mila euro. Nel novero, anche le tangenti che gli erano state consegnate negli incontri registrati in Friuli tra il 27 maggio e il 7 agosto, per complessivi 5.135 euro. La prova regina era arrivata dal ritrovamento dell’agenda in cui lo stesso Candreva, con cura certosina, aveva annotato tutte le mazzette intascate da imprenditori compiacenti dal lontano 1989, initerrottamente, fino alla data dell’arresto. Il vantaggio era immediato per tutti: lui controllava che la documentazione che avrebbe ritrovato poi sul suo stesso tavolo fosse corretta e loro, in cambio, gli pagavano una parcella, comprensiva delle spese di viaggio, vitto e alloggio, per la consulenza resa generalmente in loco. Una scorciatoia, insomma. Da qui, il coinvolgimento di un lungo elenco di altre aziende sparse per l’Italia: una quarantina in tutto e di cui si occuperanno le altre Procure cui il pm di Udine ha trasmesso i relativi atti.


Evidente la soddisfazione degli inquirenti dopo la decisione del gip di accogliere l’istanza di sequestro per sproporzione. «La potenza di questa norma – ha affermato il comandante provinciale della Gdf di Udine, colonnello Sergio Schena – risiede nel fatto di rovesciare l’onere della prova: non siamo noi a dover dimostrare l’origine illecita di beni risalenti nel tempo, ma l’indagato a tentare di provare che le somme arrivano da attività lecite». Operazione non facile, trattandosi di importi, o di beni acquistati con importi, notevolmente distanti dalle disponibilità economiche attribuibili a un semplice funzionario ministeriale.


«Considerata la cautela usata dal legislatore in materia di misure cautelari personali – è la considerazione del procuratore della Repubblica di Udine, Antonio De Nicolo –, è proprio sull’efficacia di misure cautelari reali (cioè sulle cose,
ndr
) come questa che bisogna puntare e prestare la massima attenzione. Privando i criminali del patrimonio, sono misure capaci di fare senz’altro molto più male del carcere».


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