Convegno sulla Palestina con protesta

Gli esponenti pro Israele attaccano il Cevi e il Comune che patrocina l’evento: «Iniziativa di propaganda e unilaterale»

di Alessandra Ceschia

Non è ancora cominciata la rassegna internazionale di incontri, proiezioni e mostre fotografiche organizzata Cevi, Ism Italia di Udine, rete Radio Radesh, circolo Arci Cas’Apua e Donne in nero di Udine, che debutta stasera in sala Aiace, ma è già stata messa sotto accusa e bersagliata dal fuoco incrociato di esponenti dell’associazione Italia-Israele di Udine, del Tel Aviv Journalist association, dall’associazione Italia-Israele delle terre di mezzo e collinari del Friuli e pure della Nato e della Sissa, che insorgono puntando l’indice nei confronti degli organizzatori e del Comune che patrocina l’iniziativa, rea a loro dire «di aver trasformato un’utile occasione di confronto in un’inutile, dannosa e pericolosa propaganda».

A prendere l’iniziativa con una lettera aperta sottoscritta anche da esponenti delle associazioni pro Israele e docenti dell’università di Udine, è lo scrittore e giornalista Michael Sfaradi. Autore di “Il sorriso della morte” e di “Gli amori diversi”, reporter da Sderot e dal confine con la striscia di Gaza nella guerra del gennaio 2009, Sfaradi non lesina critiche: «Il convegno – punta l’indice –, se fosse organizzato in modo da dare un’idea a 360 gradi sulla situazione, sarebbe utile a chiarire i motivi di attrito e le eventuali soluzioni. Ma mentre nella lista degli invitati abbondano le organizzazioni pro-Palestina, gli organizzatori non hanno pensato, e ciò è grave, di invitare personalità che potessero dare il loro contributo alla discussione mettendo sul tavolo anche il punto di vista israeliano».

Non mancano gli strali lanciati dall’esponente del Tel Aviv Journalist association sulla stessa presentazione dell’iniziativa: «Titoli come “Palestina liberata dall’occupazione e dall’apartheid imposto da Israele” che già delineano chi è il buono e chi il cattivo prima ancora che si possano esporre le ragioni delle parti in causa – argomenta Sfaradi – sono prese di posizione granitiche. Un copione che da anni si ripete quando si tratta di Israele. Inutile perché non porta a risultati, dannoso perché aumenta acredine fra le parti in causa e pericoloso perché accende gli animi dei più esagitati. La domanda è: era così difficile invitare una qualsiasi delle organizzazioni di amicizia Italia Israele o telefonare all’ambasciata di Israele a Roma per contattare esperti israeliani? Non era difficile, ma non si è pensato a farlo o non si è voluto fare. Da una parte verranno raccontate le esperienze vissute dai palestinesi, dall’altra verrà negato il diritto di sapere come si vive la situazione dall’altra parte del confine».

Un approccio che i detrattori dell’iniziativa reputano «irrispettoso nei confronti di chi vorrebbe sapere come stanno realmente le cose in un angolo di mondo dove ancora si muore con troppa facilità. Si parla di apartheid nei confronti degli arabi facendo passare come vero uno dei falsi più clamorosi, una fantasia che si può materializzare solo nella mente di chi vive a senso unico» aggiunge Sfaradi e cita le decine di persone della striscia di Gaza e della Cisgiordania che ogni giorno vengono curate negli ospedali israeliani, indicando quella israeliana come unica stampa in lingua araba al mondo non sottoposta a censura governativa quella israeliana. «Questo però – chiosa – non si racconta nelle conferenze a senso unico e ci si guarda bene dall’invitare chi potrebbe raccontarlo.

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