«Cividale fu liberata dai suoi cittadini non dagli osovani»

CIVIDALE. La “vulgata” comune, da 70 anni a questa parte, descrive la liberazione di Cividale, il primo maggio 1945, come frutto dell’opera degli osovani guidati da Aldo Specogna e Tarcisio Petracco ai quali si arresero gli ultimi tedeschi di stanza nella città ducale. Una scacciata dei nazisti che avvenne prima, in altre parole, che in serata, calassero su Cividale gli slavi issando la loro bandiera sul tetto del municipio anticipando anche le forze alleate arrivate il giorno successivo a ristabilire l’ordine e a certificare indissolubilmente l’italianità della città. Un racconto, con declinazioni più o meno simili create nel corso degli anni, che, però, non corrisponde alla realtà secondo Biancamaria Scalfarotto Rieppi, storica professoressa cividalese, ma soprattutto vedova di un altro famoso docente cittadino e dal 1943 al 1945 partigiano della Garibaldi-Natisone con il nome di battaglia di Giovanni: Paolo Rieppi. E 70 anni dopo, Biancamaria, riapre i cassetti della memoria, riporta alla luce documenti del tempo e “vecchi” ritagli di giornale per raccontare la sua verità. Quella che disegna una Cividale liberata dai suoi cittadini – guidati in battaglia proprio dal marito Paolo – ben prima delle altre compagnie organizzate che entrarono in piazza Paolo Diacono soltanto a giochi fatti.
Professoressa quel primo maggio di 70 anni fa non furono, come raccontato spesso dal 1945, gli uomini della Osoppo e poi gli jugoslavi a scacciare i tedeschi dalla città?
No, ed è più di mezzo secolo che schiumo rabbia per un racconto di quei giorni che non corrisponde alla realtà. La verità è che Cividale fu liberata dai cividalesi. Certamente non dagli uomini della brigata Osoppo guidata da Aldo Specogna uno che, tanto per capirci, sino al 28 aprile si trovava a San Pietro dove, assieme ad altri repubblichini, obbediva agli ordini dei tedeschi, ma che il 2 maggio sfilò senza remore con il fazzoletto verde al collo per le vie della città. E nemmeno fu merito degli sloveni che entrarono attorno alle 18, mentre i combattimenti cominciarono in mattinata, oppure degli alleati, arrivati soltanto il giorno dopo.
Quindi lei sostiene che la città venne liberata dai suoi abitanti...
Sì, perchè fu una sommossa di popolo, di persone di ogni ceto e ideologia stanche di dover sottostare a una oppressione lunga e continua. Una lotta in cui mio marito, e ci sono centinaia di persone che lo hanno visto con i loro occhi, svolse un ruolo di primo piano semplicemente per amore dell’Italia, della sua città e della popolazione.
Può ritornare, con la memoria, a quella giornata e ai racconti di suo marito?
Paolo era al comando del battaglione Garibaldi che scacciò i tedeschi lasciando sul campo di battaglia tre dei suoi uomini. Ma fu anche l’uomo che per salvare il Ponte del Diavolo, sul quale si diceva che le SS e i repubblichini avessero piazzato degli esplosivi, si calò con una corda sino al terreno rischiando la sua vita. E, da un certo punto di vista, mi possono perfino permettere di affermare come lui e i suoi ragazzi abbiano difeso l’italianità di Cividale.
In che senso?
Quando arrivarono gli sloveni issarono la bandiera jugoslava, quella con la stella rossa al centro, sul municipio sotto gli occhi attoniti, e spaventati, della popolazione. Paolo ordinò che venisse rimossa e sostituita da quella italiana, con lo stemma di Casa Savoia. Proprio lui che era tutto tranne che un uomo di fede monarchica capì in quel momento l’importanza di vedere il tricolore sventolare sulla città.
Ma se questa è la storia, vera e documentata, della liberazione di Cividale perchè non è mai stata raccontata o, quantomeno, è caduta nel dimenticatoio?
Mio marito era una persona umile, finita per amore della libertà in qualcosa di più grande di lui, ma che alla fine della guerra si dedicò all’insegnamento, la sua vera passione. Non ha mai cercato riconoscimenti perchè ha sempre pensato di aver compiuto il proprio dovere di italiano che, come ripeteva, aveva prestato giuramento al re. Sapete come si dice: purtroppo anche le oche sono capaci di urlare. E queste oche lo hanno fatto, coprendo la verità e facendo ristampare, edizione dopo edizione, sempre la stressa, errata, versione dei fatti.
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