Civibank, ecco gli sprechi dell’ex Cda

CIVIDALE DEL FRIULI. «La gestione del progetto della nuova sede della Banca Popolare di Cividale presenta molteplici profili censurabili, imputabili a vario titolo ai diversi soggetti intervenuti e agli amministratori sia di Tabogan, che di Bpc.
Tali profili sembrano trovare un’origine comune nell’assenza di trasparenza, progettazione e pianificazione che ha caratterizzato le fasi iniziali del progetto di costruzione della nuova sede».
Comincia così, con una «considerazione introduttiva» che suona più minacciosa di cento cannoni puntati contro l’avveniristico quartier generale da 64 milioni di euro inaugurato nel marzo del 2014, il “memorandum” redatto dallo studio legale “Padovan” di Milano, su incarico della presidente Michela Del Piero (dall’altro giorno al suo secondo mandato), per esprimere un parere su eventuali profili di responsabilità in relazione alla sua costruzione.
L’incarico di consulenza
In attesa di capire se nel quorum raggiunto il 30 aprile dall’assemblea per approvare l’azione di responsabilità contro gli ex vertici della banca debbano essere conteggiati anche gli astenuti, vale la pena soffermarsi sulle ragioni che hanno portato il nuovo board a decidere di agire in giudizio per ottenere, o quantomeno provarci, il risarcimento dei danni economici, patrimoniali ed, eventualmente, anche d’immagine causati all’istituto di credito dall’operazione.
La somma è stata stimata in non meno di 11,6 milioni di euro. La consulenza milanese conclude indicando i nomi dell’ex amministratore unico di Tabogan, Franco Gremese, degli altri due membri del Cda, Gianluca Visonà ed Elio Miani, nonché dei componenti del Cda e del collegio sindacale allora in carica in Bpc Lorenzo Pelizzo (presidente), Carlo Devetak, Adriano Luci, Francesca Bozzi, Luciano Locatelli, Sergio Tamburlini, Graziano Tilatti, Redento Vazzoler, Giancarlo Del Zotto Carlo Del Torre e Mauro De Marco.
Perdite e conflitto d’interessi
Il lungo elenco di decisioni giudicate «discutibili, se non apertamente criticabili» si apre con l’acquisto da Italcementi dei terreni su cui è stata eretta la nuova sede «a un prezzo ridotto rispetto a quello inizialmente convenuto, ma con assunzione a carico di Tabogan dei relativi oneri di bonifica».
Risultato: un danno pari a 790 mila euro, più Iva. Scelta che Pelizzo prese «senza dare alcuna comunicazione al Cda e senza motivazione». Seguì l’affidamento a Gesteco dei lavori di demolizione, bonifica e asporto dei materiali. Anche in questo caso, le «anomalie» non mancano.
Innanzitutto, perchè «l’individuazione non fu compiuta dall’unico organo a ciò deputato», ossia da Gremese, bensì da «un comitato interno appositamente costituito in seno a Tabogan, non previsto da alcuna disposizione statutaria e formato da Pelizzo, Di Bernardo (l’ex direttore generale, ndr), il progettista Morena e la dipendente Bpc Barletta».
In secondo luogo, perchè tutto avvenne «in un contesto di palese conflitto d’interessi», visto che il vice presidente della società era Adriano Luci, cioè colui che, all’epoca, era anche vice della banca. L’accettazione da parte di Tabogan dei maggiori oneri, peraltro, comportò «un aggravio dei costi per 710 mila euro».
Appalto senza tutele
E arriviamo al “capitolo” Steda. Secondo il consulente milanese, l’appaltatore fu scelto «sulla base di mere dichiarazioni verbali sulla solidità finanziaria che, dopo pochi mesi, sono risultate infondate».
Non basta. «La stipula del contratto con Steda, in assenza di progetto esecutivo, di computo metrico estimativo e di capitolato speciale di appalto – si legge nel memorandum – è sfociata in rilevantissimi extra-costi per Tabogan: 8.456.166 euro in relazione alle opere di costruzioni dell’edificio e 9.135.745 euro, per gli arredi, gli impianti elettrici e le spese tecniche».
Il tutto, a fronte della pur tempestiva segnalazione di lacune da parte della consulente Stelline. Da cui il biasimo di «inerzia» al Cda di Tabogan. Anche nel caso di Steda, l’individuazione fu opera di «un’apposita commissione interna».
A sorprendere, poi, è anche «la previsione nel contratto d’appalto di pagamenti rateali del corrispettivo convenuto in favore di Steda, indipendentemente dall’effettiva evoluzione dei lavori di costruzione». Il che, conti alla mano, ha comportato «pagamenti non giustificati per 3.664.770 euro».
La “regia” di Tabogan
Nel mirino, anche l’acquisto del centro congressi, non contemplato nel progetto originale. «Per la sua realizzazione – si legge – Tabogan ha erogato anticipi a Steda per la rilevante somma di 4.140.000 euro, senza ottenere alcun tipo di proprietà sul centro congressi (che è ancora oggi del fallimento Steda)».
Anche questa volta, gli amministratori di Tabogan «non assunsero adeguate informazioni, nè adottarono alcuna idonea cautela». Il che, a giudicare dalle conclusioni cui pervengono le 29 pagine di memorandum, sorprende solo in apparenza.
«Tabogan è da ritenersi dal 2007 alla sua fusione per incorporazione in Bpc, soggetta all’azione di direzione e coordinamento della contollante Bpc. Per il loro carattere sistematico e pervasivo, Di Bernardo e Pelizzo possono essere qualificati quali suoi “amministratori di fatto”».
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