Cibo da strada, asporto consegne a domicilio Così i locali del centro hanno affrontato il Covid

I menù dei locali sono stati portati nelle case. Ora basta un clic Dalla cucina emiliana a spazi dedicati a street food e take away 

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Gabriele giuga

Il viaggio sembrava ormai concluso, lì, nella quiete dell’armadio frigo addossato alla parete del corridoio di passaggio di un noto ristorante del centro. La bottiglia di birra belga aveva percorso qualche migliaio di chilometri in giro per l’Europa per poi fermarsi in attesa di un cliente più attento degli altri, che l’avrebbe scelta fra mille altre bionde. Lei, la numero uno delle Ipa belghe.

Poi il Covid sembrava avesse messo la parola definitiva su un viaggio che avrebbe dovuto finire lì, in attesa per chissà quanto tempo ancora. E invece no. Per la bionda belga d’un tratto la porta si apre, qualcuno la prende, l’adagia con cura in un contenitore che ne preserva la temperatura, la carica in macchina e la porta a casa di quel cliente più attento degli altri. E lì, finalmente e sorprendentemente, riprende nuova vita. Il merito di questa rinascita è della tecnologia informatica, abbinata inaspettatamente, e per fortuna, al mondo della ristorazione.

«Alla Catina – ci dice Vincenzo Cioffi – abbiamo sentito la flessione, forse meno degli altri posti, ma è innegabile che la clientela abituale sia stata costretta a fare altre scelte. Il “delivery” era già nel nostro dna, ma noi abbiamo voluto fare qualcosa in più: l’intero menù del ristorante, ma proprio tutto, disponibile a casa in pochi clic. Un’apposita app, un codice QR, e di colpo tutto quello che abbiamo in cucina è a disposizione del cliente».

Sul “take away di compagnia” ha puntato tutto Claudia Casula, del Caffè Letterario. «Ci pensavo da un po’ – racconta –. Il mio locale e la mia cucina sono fatti di attenzione all’ambiente e i ritmi iniziavano a diventare insostenibili. Così, con il Covid, ho cambiato: niente più ordini in fretta, pranzi da consumare in una manciata di minuti. Funziona molto il take away, che puoi consumare come vuoi, qui oppure in ufficio, o ancora meglio al parco, a due passi da qui, in compagnia della natura. I piatti sono gli stessi, ma il packaging è in linea con il gusto della mia clientela, ecosostenibile e naturale, e alla fine vedo che i clienti e io siamo tutti più tranquilli».

«È tutta una questione di fiducia reciproca», invece, per Denis Gori e Annadebora Caputo, giovani titolari dell’osteria Monìc, in viale Martelli, cucina emiliana e pubblico da metropoli: «Quando ci chiamano a casa i clienti per portare il nostro ragù, rigorosamente cotto 5 ore, ci rendiamo conto che il delivery ha un senso che va oltre la consegna di un piatto, non sei dietro un banco, ma leggi negli occhi delle persone che si fidano di quello che prepari e di quello che sei».

Un servizio in più lo regala anche Dario Martina, storico titolare dell’osteria da Afro a Spilimbergo. «Si riprende un po’ adesso, ma per chi come me ha albergo, ristorante e osteria le cifre del calo sono importanti. Manca la gente da fuori. Per i miei clienti, invece, ho confezionato un servizio speciale. Ero già attrezzato con furgoni adatti al trasporto di cibi preparati ma a chi lo chiede, nel rispetto delle norme sanitarie, porto le mie stoviglie, il cibo nelle mie pirofile, i miei piatti e le tovaglie. Poi passo a ritirare tutto. Non è come venire al mio ristorante, ma se Maometto non va alla montagna...».

E intanto che fervono altre iniziative, sabato pomeriggio in via dei Molini aprirà un nuovo concetto di take away e fast food firmato Follador. Quando l’ingegno non si ferma davanti neanche davanti a una pandemia. —



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