Chiese alla ’ndrangheta di bruciare lo yacht di un imprenditore friulano

La ’ndrangheta in Veneto, sette arresti tra Verona, Crotone e Meolo. E, tra le vittime, c’è anche l’imprenditore friulano Luigino Pagotto. In carcere i tre fratelli Domenico, Carmine e Fortunato Multari, legati alla cosca di Nicolino Grande Aracri. In manette anche Antonio Multari, figlio di Domenico, mentre l’altro figlio Alberto è stato denunciato a piede libero. Decapitata la famiglia arrivata trent’anni fa a Zimella nella bassa veronese e che negli anni sembrava intoccabile nonostante i mille guai giudiziari.
Dietro le sbarre è finito pure l’imprenditore del settore nautico Francesco Crosera, arrestato a Meolo perché avrebbe chiesto ai “calabresi” di bruciare uno yacht al centro di un contenzioso con un cliente, Pagotto appunto. Quando i calabresi, per due volte, non ci riescono si rivolge a due albanesi che intascano i soldi promessi ma lo tradiscono raccontando tutto al proprietario della yacht. Non contento Crosera chiede allora a un terzo albanese di uccidere uno dei due traditori. I sette, insieme ad altre 15 persone, sono indagati a vario titolo per estorsione, violenza e minaccia per costringere a commettere un reato, trasferimento fraudolento di valori, resistenza a pubblico ufficiale, incendio, tentata frode processuale, con l’aggravante dei metodi mafiosi. Le indagini del Ros dei carabinieri e coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Venezia sono iniziate nel 2015, quando i militari sono riusciti a convincere due imprenditori a raccontare come i Multari li avevano spogliati di ogni bene.
Artigiani in miseria
Sono piccoli imprenditori che vivono nella Bassa Padovana e nel Veronese. Il primo si occupa di infissi in legno e di mobili, il secondo di carburanti. Sono gli imprenditori che i Multari, uno dal 2001 e l’altro dal 2007, hanno spogliato di ogni cosa. Ora uno è costretto a vivere in una roulotte. I due diventano fornitori dei fratelli Multari quando questi lavorano nel settore edile. Diventano degli ottimi clienti di chi costruisce porte e finestre e di chi vende loro il carburante per le macchine operatrici. Il rapporto di lavoro diventa sempre più stretto tanto che la famiglia dei calabresi presta soldi ai fornitori per piccole esigenze. È l’inizio della fine. Gli artigiani finiscono in un vortice che lentamente li spoglia di ogni cosa. Finiscono matrimoni e falliscono società mentre i Multari diventano sempre più ricchi. Minacce ed estorsioni sono il Vangelo. Nessuno ha il coraggio di denunciare quanto accade e i calabresi diventano intoccabili. Tutto questo, alla fine, i due imprenditori privati anche dei sentimenti trovano la forza di raccontarlo ai carabinieri.
Le indagini
I carabinieri del Ros e i colleghi di Verona iniziano a indagare sugli “intoccabili di Zimella”. Intercettano conversazioni al telefono e in auto. E scavando a ritroso ricostruiscono come i fratelli Multari hanno spolpato i due imprenditori, ma anche come sono stati protagonisti di altri reati. Il faldone delle indagini coordinate dal pm Paola Tonini diventa sempre più corposo. Le indagini permettono di scoprire numerosi altri reati tra minacce ed estorsioni. Gli investigatori sono convinti che anche altri imprenditori hanno subito il “trattamento Multari”. Imprenditori che per il momento non hanno ancora trovato il coraggio di denunciare “gli intoccabili”.
La convinzione di essere “ intoccabili” si capisce dal comportamento di Domenico Multari detto “Gheddafi” che, nonostante, avesse subito la misura del sequestro dei beni, emerge dalle indagini, riesce ad impedire il perfezionamento della procedura di vendita all'asta degli immobili sequestrati attraverso contratti simulati di vendita a prestanomi e con minacce e violenze nei confronti dei Pubblici Ufficiali che in più occasioni si recavano nelle abitazioni dei Multari, per le quali era stata stabilita la vendita all'asta. Lo faceva per scoraggiare eventuali acquirenti, con la conseguenza che le aste andavano deserte e gli immobili acquistati a prezzi vantaggiosi da suoi prestanome.
l’imprenditore Crosera
Mentre i carabinieri indagano sugli “intoccabili”, scoprono come qualcuno si rivolge a loro per risolvere le proprie grane giudiziarie. Tra questi c’è Francesco Crosera, titolare dell’omonimo cantiere nautico di Quarto d’Altino. L’imprenditore ha un contezioso civile con un cliente che vuole restituiti parte dei soldi spesi per lo yacht Terry, costato 2 milioni di euro e ormeggiato ad Alghero. Crosera paga i calabresi perché diano fuoco all’imbarcazione. La prima volta (2015), un operaio della darsena dove è ormeggiato interviene ed evita il peggio. Due anni dopo i carabinieri anticipano i calabresi e spostano la barca. A quel punto Crosera si rivolge a due albanesi che intascati i soldi lo “vendono” al proprietario della barca a cui chiedono soldi. Crosera quando scopre il tradimento cerca un altro albanese e lo incarica di uccidere il “traditore”. —
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto