Chiese 2 mila euro, urologo patteggia

Aveva così convinto un paziente a evitare i tempi di attesa. La difesa: una quota libero-professionale
Udine 17 Dicembre 2008. Ospedale Casa di cura 'Citta' di Udine'. Telefoto Copyright /Foto Agency Anteprima Udine.
Udine 17 Dicembre 2008. Ospedale Casa di cura 'Citta' di Udine'. Telefoto Copyright /Foto Agency Anteprima Udine.

UDINE. Gli aveva fatto credere di rischiare di finire in coda a una lunga lista d’attesa, ma gli aveva anche prospettato una facile, seppure più onerosa, scorciatoia: il versamento di 2 mila euro, in cambio di una corsia preferenziale per entrare in sala operatoria in tempi ragionevoli. E così era stato. Ma poi, a distanza di qualche tempo dall’intervento chirurgico, quello stesso paziente aveva scritto alla struttura sanitaria, sollecitando l’invio della ricevuta del pagamento.

E a quel punto, per il professionista che aveva intascato il denaro era crollato il palco. Era il 20 settembre del 2010 e il medico finito nei guai era l’allora responsabile dell’Unità operativa di Urologia - andrologia della Casa di cura “Città di Udine”, Giorgio Mazza, 73 anni, residente a Cormons. Ormai scoperto e chiamato a rapporto dal vertice della struttura di viale Venezia, l’urologo aveva riconosciuto di avere chiesto quella somma e l’aveva poi restituita alla famiglia del paziente, scusandosi per l’equivoco. Il caso, comunque, non si era chiuso là.

Dando seguito alla denuncia sporta dal responsabile del “Città di Udine”, Claudio Riccobon, la Procura aveva aperto a carico del medico un fascicolo per l’ipotesi di reato di concussione. Ieri, la vicenda si è chiusa davanti al gup del tribunale di Udine, Paolo Alessio Vernì, con la riqualificazione del reato in quello meno grave e di recentissima introduzione di concussione per semplice induzione (senza, dunque, l’elemento della costrizione) e con l’applicazione della pena precedentemente patteggiata tra il pm, Lucia Terzariol, e il difensore, avvocato Antonio Malattia, in un anno e quattro mesi di reclusione (sospesa con la condizionale). A portare alla luce l’episodio e mettere in moto le indagini, che il magistrato aveva delegato alla sezione Pg dei carabinieri, era stata dunque la richiesta del paziente di ricevere una ricevuta dei soldi versati.

Insospettita di fronte a quella sollecitazione, la direzione aveva preteso una spiegazione da Mazza e questi non aveva potuto far altro che confermare di avere chiesto all’uomo 2 mila euro. Secondo la ricostruzione del pm, per convincere il paziente a consegnargli la somma indicata, aveva fatto ricorso a una falsa prospettazione dell’eventualità d’incorrere nei biblici tempi d’attesa previsti per gli interventi effettuati in regime di convenzione con il Servizio sanitario regionale. Tutt’altra la chiave di lettura fornita dal medico. Non di un furbesco tentativo d’ingannare il paziente si sarebbe trattato, bensì dell’effetto di una confusione nella gestione dei rapporti economici con l’ente convenzionato.

Come spiegato alla direzione del “Città di Udine”, Mazza aveva considerato quei 2 mila euro alla stregua di un compenso quale quota libero-professionale non a caso corrispostagli proprio nel momento dell’intervento e non prima. In una successiva lettera alla vedova del paziente - deceduto di là a qualche tempo per altra causa -, l’urologo aveva riferito di avere approfondito il caso e di essere giunto alla conclusione di non avere diritto a quella quota, avendo operato appunto - pur essendo un libero professionista -, in regime di convenzione con il Servizio sanitario regionale. E aveva concluso, promettendo la restituzione del denaro e chiedendo la restituzione di quella stessa ricevuta che la famiglia aveva lamentato di non avere mai ricevuto.

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