Che pena gli adesivi su Auschwitz

Quelli che insultano o minacciano usando immagini, simboli o foto dello Sterminio, sono fascisti o nazifascisti, che con quelle immagini augurano il ritorno di quella storia. Poiché quella fu una storia obbrobriosa (non nel senso di antidemocratica, ma nel senso di anti-umana), gli autori di queste minacce sono di solito o molto vecchi (non hanno più cervello) o molto giovani (non hanno ancora un cervello).
O vecchi fascisti, o giovani fascisti. Giocano, confidenzialmente, con i simboli del nazifascismo. Come dobbiamo comportarci noi oggi, di fronte a fascisti vecchi o giovani? Distinguendo, come faceva Pasolini quando scriveva, con molta saggezza: «I giovani fascisti mi fanno pena, i vecchi fascisti mi fanno ribrezzo».
Perché se sono vecchi sanno, sanno cosa vogliono dire le immagini che usano, le foto che espongono, sanno che sono un’offesa per tutta l’umanità, e quindi si mettono consciamente fuori dal rapporto con gli altri uomini. Lo sanno, lo vogliono, perciò fanno ribrezzo. I giovani fascisti no, hanno letto male e hanno frainteso, credono che fosse una manifestazione di ordine quella che era violenza animale, che fossero eroi quelli che erano semplicemente assassini. Che fossero super-uomini quelli che erano sotto-uomini.
Non esiste un mito di Auschwitz, ua grandezza di Auschwitz, un vanto di Auschwitz. Auschwitz è soltanto vergogna. Quelli che ci han lavorato come padroni, tornati a casa non l’hanno raccontato. Hanno aspettato la morte come una liberazione.
Quelli che ci sono stati come prigionieri, indossando la divisa a righe verticali come quella con cui gli autori di questa bravata di Udine rivestono l’ex-sindaco, si son sentiti schiavizzati, ridotti a cose, de-umanizzati. Sono stati milioni.
Su di loro non si dovrebbe scherzare, fare satira, fare polemiche, fare politica, fare vignette. Rappresentare un ex-sindaco, che ha bene amministrato, che s’è impegnato per la democrazia contro i revival fascisti, per l’onore della Resistenza, di cui la sua città è un simbolo onorato e premiato, rappresentarlo in divisa da internato del peggior lager e per di più con la scritta che lo definisce sindaco di quel comune, è un doppio scherno, che mostra una molteplice ignoranza.
Gli stupidelli che hanno lavorato a costruire questa bravata non sanno quale delicato materiale hanno usato. Non solo chi ha lavorato ad Auschwitz come padrone, e non solo quelli che ci han lavorato come schiavi (non esiste altro termine, la funzione dei lager era lo sfruttamento di manodopera schiava a nessun prezzo e senza alcun diritto), ma anche tutti coloro che vanno a visitarlo, ammesso che ne reggano la vista, provano vergogna.
Si vergognano, ci vergogniamo che luoghi del genere, divise del genere, reticolati e baracche del genere, siano potute esistere. Tornati a casa, non ne parliamo volentieri. Anche nel cinema, nei film, gli accenni sono rari e motivati. Parlarne in una polemica, in un discorso banale, per offendere qualcuno o deriderlo, è giustamente considerato volgare, incolto, rozzo, indegno. Stupido. Può farlo uno che non sa, che non ha visto, non ha studiato, non ha capito. Uno molto giovane. Perciò, tra i due sentimenti pasoliniani, il ribrezzo o la pena, quel che prevale qui è la pena.
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