Che duello col Partizan una sfida tra due mondi

Nel ’79 Gorizia nella Coppa Korac: fu eliminata dallo squadrone jugoslavo Bolgia al palazzetto, 500 da oltre confine. E volò anche una bottiglia di vetro
Di Pietro Oleotto

C’è un frammento d’Europa nell’album dei ricordi. E che frammento: è passata una vita, 35 anni, da quando Gorizia ha rappresentato l’Italia nelle coppe del basket, da quando ha duellato e perso soltanto dopo un tempo supplementare contro il glorioso e mitico Partizan di Belgrado, la squadra di Kicanovic e Dalipagic che poi vincerà proprio quella edizione della Coppa Korac. Una vita che però non cancella le immagini di chi c’era quella sera del 16 gennaio ’79 in via delle Grappate, assieme ad altri quattromila tifosi, almeno cinquecento arrivati da oltre confine.

Il flash back è necessario. Prima di tutto il quadro storico che ha letteralmente caratterizzato quella che non era una semplice partita di pallacanestro. Di qua l’Italia disegnata dalla Seconda guerra, figlia degli anglo-americani e del boom economico, di là la “Jugo” di Tito, dell’autogestione e dell’autarchia anche sportiva che, comunque, le permetteva di allevare in casa fior di cestisti, come ci raccontava ogni sabato pomeriggio Sergio Tavcar, la voce di TeleCapodistria, pronta a collegarsi via-tubo dalle fumose (all’intervallo) palestre balcaniche per trasmettere le immagini del campionato jugoslavo. Il Buducnost di Titograd, lo Sloboda di Tuzla e anche Iskra Olimpija di Lubiana. Insomma, un altro mondo. Talmente lontano dal basket di oggi che ora sarebbe impensabile impedire al miglior giocatore d’Europa, Drazen Dalipagic, di non giocare per il Partizan per permettergli di fare il servizio militare.

Praja, che tredici anni dopo sarebbe diventato allenatore proprio a Gorizia, nell’era Terraneo, non c’era sul “sintetico” del vecchio palazzetto. C’erano invece centinaia di jugoslavi, pronti a tifare Partizan, sugli spalti. Per motivi di ordine pubblico, erano stati convogliati tutti di fronte al tavolo degli ufficiali di campo, nel settore numerati di solito occupato dai fedelissimi biancoblù. La curva della Pagnossin, invece, era sempre al suo posto. Dietro il canestro alla sinistra della panchina di casa. Salto a due alle 21, ma la tensione è palpabile già al momento del riscaldamento. Spunta il tricolore tra gli ultras, i tifosi avversari rispondono con la loro bandiera, bianca, rossa e blù la stella al centro. Via Rastello allora era la capitale del jeans, i pullman arrivanao dalla Bosnia per fare il pieno di tessuti denim, ma presumibilmente gran parte dei “plavi” erano sloveni, o serbi residenti nella fascia confinaria. Già, “plavi”: letteralmente blù, come il colore della nazionale e la parola veniva ripetura alternando il coro con: «Ju-go-slavia, Ju-go-slavia, Ju-go-slavia». Non era Pagnossin-Partizan, era Italia-Jugoslavia.

Il palazzetto diventa una bolgia quando la gradinata goriziana fa partire un coretto di risposta, ritmato dall’immancabile tamburo. Il testo è un esplicito “vaffa” al maresciallo Tito: apriti cielo. In un amen si scatena la caccia all’uomo: la numerata finisce dietro i canestri, la curva “gira” in senso antiorario occupando la tribuna dietro le panchine. Con le squadre in campo tutti ritornano al proprio posto, ma la tensione in campo non stempera di certo gli animi. Il Partizan ha Kicanovic, sul quale si incolla Ardessi. E lo limita, fermandolo a quota 15. Ma poi c’è Maric, spilungone che ne fa 27 e fa vedere i sorci verdi al biondo John Laing, americano di Gorizia assieme all’immarcabile Roscoe Pondexter che chiuderà la gara con 34 punti. Ma è Roberto Premier il rebus irrisolvibile per Todoric e compagni: 36 punti. Devastante. Gli jugoslavi così non riescono mai a fuggire e il primo tempo diventa un’autentica battaglia che dura un’ora, complice una bottiglia che piove in campo dal settore ospiti e va in frantumi vicino la panchina della Pagnossin: le cronache del tempo riferiscono che la sospensione di dieci minuti fu decisa dagli arbitri per raccogliere il vetro di una Radenska, chi era presente ricorda invece un forte odore di “vinazza” dopo l’impatto.

Acqua o vino, poco importa: Premier continua a martellare il canestro del Partizan, tanto che l’avversario diretto Arsenije Pesic – che negli Anni 80 divenne per qualche mese divenne uno degli stranieri della Segafredo – pensa bene di rifilargli un calcione per bloccarlo. Espulsione. E perfetta partità, a quota 47, alla fine del primo tempo. E anche dopo 40 minuti: 85-85. Ci volle un supplementare per decretare la vincente di quella epica euro-sfida: il Partizan che sfrutta la stanchezza di Premier e Pondexter, senza grandi alternative nelle strategie di Jim McGregor, viste le condizioni imperfette di Rino Bruni. Finisce 93-103, un risultato che lancia in orbita i bianconeri di Belgrado, capaci poi di vincere il gironcino di qualificazione e soprattutto la Coppa Korac in finale con Rieti. Dopo aver chiesto il permesso alla piccola-grande Gorizia. Che tempi!

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