Caso Bcc di Manzano-Cozzi, cadono le accuse pesanti

UDINE. Quello che, oltre sei anni fa, travolse una delle più grandi Banche di credito cooperativo della regione, forte di 24 sportelli, fu un vero e proprio terremoto, capace di scuoterne le fondamenta e di azzerarne gli ex vertici.
La vicenda processuale sulla Bcc di Manzano si è chiusa nell’aula del tribunale di Udine con due condanne e un’assoluzione.
Il collegio giudicante presieduto da Paolo Alessio Vernì, a latere Roberto Pecile e Carlotta Silva, ha condannato l’ex direttore Dino Cozzi, 68 anni di Buttrio, a un anno e sei mesi di reclusione, pena sospesa, per la sola accusa di aver ostacolato le funzioni di vigilanza di Bankitalia, è stato invece assolto “perché il fatto non sussiste” dalle accuse di associazione a delinquere, riciclaggio e favoreggiamento.
Per lui il pubblico ministero Marco Panzeri aveva chiesto una condanna a 4 anni e 8 mesi. Condannato a un anno di reclusione, pena sospesa, Salvatore Capomacchia udinese di 74 anni, sempre per il reato di ostacolo alle funzioni di vigilanza per il quale il pm aveva chiesto una pena a 8 mesi di reclusione. Capomacchia era difeso dall’avvocato di fiducia Ezio Franz che per il suo assistito aveva chiesto l’assoluzione con formula piena.
È stato invece assolto “perché il fatto non sussiste” Davide Bonetti, 54enne romano che era accusato di riciclaggio. Positivi i commenti da parte del collegio difensivo di Bonetti composto dall’avvocato Ida Castaldo, dal professor Alessandro Diddi, legale di Buzzi, dominus nello scandalo di “Roma capitale”, e dall’avvocato Filippo Cocco: «Esprimiamo ampia soddisfazione per una sentenza assolutoria che dipana ogni dubbio sulla professionalità e sul corretto operato del dottor Bonetti in qualità direttore della fiduciaria romana all’epoca denominata Amphora fiduciaria» commentano.
Diversa la posizione dell’avvocato Riccardo Seibold, difensore di Cozzi. «Nonostante la sentenza di assoluzione dalle accuse più pesanti, siamo convinti di aver provato nel corso del dibattimento l’infondatezza di tutte le ipotesi accusatorie, compresa quella di ostacolo all’attività di vigilanza.
Il tribunale ha dimostrato grande attenzione e competenza a un processo nel corso del quale sono stati sentiti 45 testi e quattro consulenti e in cui si sono avvicendati cinque magistrati, ci riserviamo di leggere le motivazioni e di valutare un ricorso in appello».
L’inchiesta avviata dal pm Lorenzo Del Giudice era partita da una serie di accertamenti fiscali condotti sull’attività dei fratelli cividalesi Andrea e Daniele Specogna, titolari di un’impresa edile e di altre società minori. Il magistrato aveva riscontrato alcune irregolarità nei loro conti.
L’inchiesta si era quindi allargata fino a travolgere persone che, all’epoca ricoprivano incarichi amministrativi e di direzione della banca e di alcune filialicoinvolgendo fatti che andavano dal 1996 al 2010. Dall’ipotesi originaria di evasione la Procura aveva ipotizzato prima l’accusa di riciclaggio e poi quella di ostacolo alla funzione di vigilanza di Bankitalia.
Pesante il castello accusatorio: si ipotizzava un flusso occulto di oltre 4 milioni di euro investiti su clienti in parte inesistenti, in parte ignari e in parte legati da vincoli familiari per “pulire” gli incassi “in nero” dei due imprenditori e correntisti cividalesi.
Nel frattempo, a Del giudice era subentrato Panzeri. L’avviso di conclusione delle indagini era arrivato nel luglio 2010 e i fascicoli erano approdati dal giudice per le udienze preliminari con la richiesta di 22 rinvii a giudizio.
In udienza preliminare il gup aveva disposto cinque rinvii a giudizio, assolto due imputati che avevano optato per l’abbreviato e accordato 15 patteggiamenti per complessivi 17 anni di reclusione, nel marzo dello scorso anno il tribunale collegiale di Udine ha dichiarato il non doversi procedere nei confronti dei due artigiani per estinzione dei legati a loro contestati a seguito di intervenuta prescrizione. Con questa sentenza si è concluso il processo.
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