Capricci, sgarbi, voltafaccia: ecco perché Udine e Pordenone saranno sempre "carissime nemiche"

UDINE. Le “carissime nemiche” continuano a non amarsi? Capricci, sgarbi, voltafaccia. Ormai c'è un romanzo infinito per capire come quei 50 chilometri di tormentata statale siano in effetti molto più lunghi e tortuosi. Ma perché le distanze tra Udine e Pordenone sembrano così incolmabili, insormontabili? Stavolta a finire sulla ribalta sono i rapporti di tipo industriale ed economico, ma la gamma degli esempi è ampia, con una recente gradita sorpresa dovuta al calcio visto che, in attesa d'uno stadio come si deve, il Pordenone va intanto a giocare a Udine. Almeno quello!
Per il resto, discorso arduo e teso, fatto di incomprensioni e, se possibile, tiri mancini. Nulla di nuovo in ogni caso perché il ritornello si ripete da decenni e, senza andar troppo lontano, basta ricordare cosa fu il Sessantotto sul Noncello e dintorni. Anche lì, come ovunque, contestazioni, proteste e occupazioni, ma anche grande festa popolare per la nascita della Provincia pordenonese, liberatasi del fardello udinese, ritenuto più intollerabile di un giogo.
Nemmeno la vecchia Democrazia cristiana, che teneva insieme frammenti e pezzi d'Italia dovunque, essendo tutto e il contrario di tutto, potè sciogliere il nodo tra le due città capoluogo. Del resto, parlando di Dc, se in riva al Noncello la corrente dorotea aveva un saldo presidio, Udine era terreno di conquista per i morotei (categorie queste che appartengono all'archeologia della politica, ma che quella volta erano decisive per far pendere il piatto della bilancia).
Detto che in Friuli Venezia Giulia esiste un'atavica difficoltà a far sistema tra i quattro capoluoghi, differenti per storia e società (e da adesso forse ancor di più visto il clamoroso decollo triestino in termini di porto e turismo), c'è poi un problema di nervi tesi tra udinesi e pordenonesi, in affanno nel superare la barriera rappresentata dal Tagliamento. I fiumi non sempre dividono, alle volte anche uniscono. Qui invece un problema esiste, forse ingigantito, ma immanente. Lo avvertiva anche Pier Paolo Pasolini, che visse in Friuli gli anni decisivi del secondo dopoguerra, quando in treno o in bici sceglieva come punto di riferimento Udine piuttosto che Pordenone.
Una città, secondo il poeta, che non ha tradizione friulana, essendo un'isola linguistica nel cuore della Piccola Patria, con una storia e una mentalità diverse. Il quesito, stando a Pasolini, era però un altro: Pordenone poteva parlare a nome di tutta la Destra Tagliamento? A suo avviso no, come è intuibile, ma il poeta non poteva immaginare quanto tra anni Cinquanta e Sessanta sarebbe successo, con l'enorme crescita dell'industria pordenonese attorno al miracolo creato da Lino Zanussi, capace di portare la manodopera della sua azienda da 300 a 13 mila dipendenti.
Così Pordenone è esplosa anche dal punto di vista demografico passando dai 27 mila abitanti del 1951 ai 47 mila del 1971 e ai 52 mila del 1981, quindi raddoppiando in un trentennio. E per far funzionare fabbriche e indotto, Zanussi e gli altri industriali alimentarono una forte immigrazione fatta di quadri dirigenti e lavoratori qualificati. Il loro arrivo ha mutato e arricchito l'ambiente pordenonese e probabilmente lì, in un universo provinciale certo, ma dinamico e curioso, vanno anche cercate le ragioni della crescita culturale alla base di straordinarie iniziative come Pordenonelegge, Dedica e le Giornate del cinema muto.
Un processo simile, da cenerentola e principessima, non poteva lasciar indifferenti gli udinesi, più avvinti a istituzioni consolidate e a un tipo di società cittadina che ha ricevuto aria fresca in tempi recenti solo dall'università degli studi. Ecco che i ben noti complessi di superiorità (degli udinesi) e di inferiorità (dei pordenonesi, quelli del PN nella targa, ovvero i “Poveri Noi”) si sono intrecciati, confusi, non trovando un terreno di intesa e chiarimento per cui Pordenone ha preferito spesso by-passare Udine, sua ex Dominante, per cercare dialogo a Trieste, con la quale non esistono motivi particolari di rivalità.
La vita dei territori è simile a quella della gente comune. Simpatie, antipatie, slanci e chiusure traggono origine in maniera spontanea e banale, compreso il fatto che, vista la vicinanza geografica e linguistica, Pordenone ha sentito molto l'attrazione del Veneto, cercando di agganciarsi a tale tipo di locomotiva piuttosto che di andare al passo di Udine. E ciò accadeva soprattutto ai tempi della forte espansione economica a cavallo tra Novecento e anni Duemila.
Questi dunque alcuni motivi di un rapporto complesso, con ombre e tante differenze. Per far luce c'è un piccolo esempio storico. Quando gli austriaci vollero portare in Friuli la linea ferroviaria, a metà Ottocento, i pordenonesi ebbero la stazione a due passi dal centro. Gli udinesi no. La ragione? Bisognava intitolare il viale d'accesso all'imperatore Francesco Giuseppe. Gli uni accettarono, gli altri no venendo puniti. Storiella banale, ma che forse la dice lunga anche al giorno d'oggi.
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto