Bimba muore di malaria, parla Bordon: "Da noi nessun errore, non temo l'inchiesta"

Paolo Bordon, direttore generale dell'Azienda per i servizi sanitari della Provincia di Trento, interviene sul caso della piccola Sofia, morta in ospedale per aver contratto la malaria. 

UDINE. Il suo cellulare non smette di suonare. A tutti, dai colleghi ai cronisti che gli chiedono informazioni, ripete: «Siamo i primi a voler capire cosa sia successo, per la famiglia di Sofia e per tutti i nostri utenti. Siamo sicuri di aver seguito le procedure con correttezza. Escludo totalmente avvisi di garanzia a me o ai miei collaboratori». Paolo Bordon, udinese, dal 9 maggio 2016 è il direttore generale dell’Azienda per i servizi sanitari della Provincia di Trento. Tocca a lui gestire accertamenti e procedure in corso, avviate per stabilire come Sofia Zago sia stata contagiata dalla malaria e se e dove ci sia stata una falla tra diagnosi e cura. Le Procure di Trento e Brescia, hanno aperto un fascicolo contro ignoti. L’ipotesi di reato è omicidio colposo.

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Direttore, quando vi siete accorti che Sofia era grave?

«Il 2 settembre, e grazie all’intuizione della dottoressa Silvia Fasanella che ha voluto eseguire l’esame per la malaria. La piccola è stata trasferita da noi il 16 agosto e il 21 è stata dimessa, con la diagnosi di diabete infantile. Stava bene, né la sua famiglia né lei avevano fatto viaggi all’estero. Nessuno poteva ipotizzare che avesse contratto la malaria e non sappiamo nemmeno se il 17 agosto avesse già la malattia».

Poi, cos’è successo?

«Il 31 agosto i genitori di Sofia l’hanno riportata in Pronto soccorso pediatrico, perché aveva la febbre alta. La sua laringe era ingrossata e quindi è stato ipotizzato che avesse un’infezione alle vie aeree superiori. Le vengono prescritti degli antibiotici e in giornata viene mandata a casa».

E poi?

«Il 2 settembre ritorna in Pronto soccorso. È già molto grave, quasi incosciente. I medici ipotizzano anche l’epilessia, per non escludere nulla. Poi la dottoressa Fasanella ha l’intuizione della malaria, le fa il “vetrino” specifico e appura che si tratta di malaria. A Sofia viene somministrato il chinino e poi la piccola viene elitrasportata a Brescia, dove c’è il più importante Centro per la cura delle malattie tropicali. Sofia stava molto male».

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Durante il suo ricovero a Trento c’era in cura un’intera famiglia originaria del Burkina Faso e appena e appena rientrata dall’Africa?

«Sì, due bimbe nello stesso reparto di Sofia, ma in corridoi diversi. Ma anche la madre e un fratello erano nel nostro ospedale. Abbiamo avuto anche, in ricovero sociale, cioè affinché stesse con la famiglia, il bimbo più piccolo, che però non era malato. Gli altri componenti la famiglia, invece, hanno contratto la malaria, sono stati curati subito con il chinino e adesso stanno tutti bene».

Avevano tutti lo stesso tipo di malaria che ha ucciso Sofia?

«Sì, ma non sappiamo se si tratta dello stesso ceppo».

È possibile un contagio a causa della presenza di quella famiglia?

«No. Prima di tutto la malaria non viene trasmessa da uomo a uomo, ma anche così fosse, le bambine del Burkina Faso e Sofia non hanno avuto alcun contatto. Nell’ospedale c’è un’area giochi comune e le piccole africane non l’hanno nemmeno frequentata per stare con loro fratello più piccolo che, non essendo ricoverato per malattia, non aveva accesso all’area giochi».

Che ipotesi fate allora sul contagio di Sofia?

«Le possibilità sono due. La prima è che una zanzara anofele (quella che porta la malaria) sia arrivata fin qui attraverso la valigia o gli indumenti di questa famiglia del Burkina Faso. Ma non sono un esperto e quindi non so dire se la zanzara potesse vivere così a lungo. L’altra ipotesi è che la piccola abbia contratto la malattia altrove».

Avete verificato la presenza di zanzare in ospedale?

«Sì, lunedì abbiamo installato delle trappole, che abbiamo ritirato martedì sera e che hanno dato esito negativo. Ma prima di lunedì, non lo sappiamo. Martedì, inoltre, abbiamo eseguito una disinfestazione».

È possibile che Sofia abbia contratto la malattia altrove?

«Sì, ma non abbiamo ancora riscontri. Abbiamo inviato all’Istituto superiore di sanità (Iss) un campione del serio dell’esame ematico di Sofia eseguito il 17 agosto. Con una sofistica apparecchiatura l’Iss saprà dire se già il 17 agosto nel sangue della piccola c’era traccia della malattia. Ma ci vorrà un po’ di tempo».

Teme un avviso di garanzia?

«No, né per me né per i miei collaboratori. Paradossalmente questo caso sarebbe già risolto se ci fosse stata una falla nel sistema, perché sapremo cosa abbiamo sbagliato. Ma non è così. Trento è uno dei tre ospedali pubblici migliori d’Italia, con tutte le aree mediche, chirurgiche e assistenziali col più alto livello di performance possibile».

Attendete gli ispettori del ministero della Salute?

«So che domani (oggi, per chi legge) dovrebbero arrivare dei collaboratori del ministero della Salute, che accoglieremo e per i quali siamo a completa disposizione. Ma sono anche informato che il ministero farà verificare, giustamente, tutto il percorso sanitario di Sofia, quindi i tecnici passeranno prima a Bibione, poi a Portogruaro e infine da noi. Lo ripeto, siamo i primi a voler capire cosa sia successo davvero».

Ha parlato con i genitori di Sofia?

«Sono in contatto con papà Marco. Siamo vicini alla famiglia di Sofia, che sta vivendo con compostezza un immenso dolore, al quale si aggiunge lo strazio di non sapere quando potranno fare il funerale alla piccola. Domani (oggi, per chi legge) sarà eseguita l’autopsia. Papà Marco mi ha chiesto di aiutarli a recuperare la salma e io lo farò. Faremo tutto il possibile per sostenere la famiglia di Sofia».

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