Bimba di sette anni annegata in piscina, in tre a giudizio

I responsabili dell'associazione che gestiva l'impianto in cui morì la piccola Aurora, nel 2011, risponderanno di omicidio colposo
San Mauro 10 Luglio 2011 annegamento Copyright PFp
San Mauro 10 Luglio 2011 annegamento Copyright PFp

PREMARIACCO. Non è stata una fatalità. La morte di Aurora Vulcano, la bambina di 7 anni annegata nella piscina di San Mauro di Premariacco, il 10 luglio 2011, va imputata alla negligenza di chi non ha saputo o non ha potuto vigilare. Impossibile, quindi, chiudere la vicenda senza provare quantomeno ad approfondire con un vaglio dibattimentale le presunte responsabilità delle uniche tre persone rimaste imputate, dopo l’archiviazione di tutte le altre posizioni, padre della piccola compreso. Sono queste le considerazioni alla base del decreto con il quale il gup del tribunale di Udine, Daniele Faleschini Barnaba, ha disposto il rinvio a giudizio dei responsabili dell’Associaciazione sportiva dilettantistica “W la”, di Premariacco. Cioè del circolo che gestiva l’impianto. Per tutti, l’accusa è di omicidio colposo.

Il valzer delle archiviazioni

Il processo davanti al giudice monocratico, per Moreno Saccavini e Andrea Pontoniutti, rispettivamente presidente e vice dell’Asd, e il segretario Andrea Saccavini, comincerà il 7 aprile. In udienza preliminare, la stessa pm Viviana Del Tedesco si era pronunciata a favore del proscioglimento. Era stata lei, titolare del fascicolo fin dalla sua apertura, a iscriverli sul registro degli indagati, insieme ad alcuni amministratori comunali. Poi, alla chiusura delle indagini (febbraio 2013), si era espressa per l’archiviazione di tutti. Valentino Maria Vulcano, padre della bambina, si era opposto all’istanza. E, cinque mesi dopo, si era ritrovato indagato a propria volta, per iniziativa del gip di fronte al quale si era discussa l’opposizione.

Il giudice, in particolare, aveva chiesto di valutarne la posizione, per avere permesso alla figlia di fare il bagno dopo che aveva mangiato. La parola fine all’incubo della famiglia è arrivata lo scorso agosto: il gip, esaminate le due perizie medico-legale e di tecniche del salvataggio chieste dai Vulcano, aveva archiviato il padre e disposto l’imputazione coatta per i responsabili del “W la”.

Il pm: vanno prosciolti

Se neppure il padre, che ben conosceva la figlia e sapeva che non era capace di nuotare, non si è accorto di ciò che stava accadendo, men che meno avrebbe potuto un bagnino. Questa, in buona sostanza, la tesi ribadita anche oggi dal pm, tutt’ora assertrice della fatalità della fine toccata alla piccola Aurora e dell’assenza di colpa in capo ai responsabili dell’impianto. Ben altra la conclusione dell’avvocato Carlotta Campeis, con cui non soltanto il padre della vittima, Valentino Maria (ieri presente all’udienza), ma anche la madre Silvana Petricig e il fratello Cristiano Maria si sono costituiti parte civile.

«Come emerso già nelle tesi tecniche dei primi anni di indagine e avvalorato poi dall’incidente probatorio - ha argomentato il legale - e come sostenuto anche dal gip nell’ordinanza di agosto, i gestori hanno commesso una significativa leggerezza nel non dotarsi di personale e strumentazione adeguata alla cura. E quella leggerezza ha contribuito in maniera determinante a causare il decesso. Solo nei loro confronti, quindi, possono essere mossi rimproveri di colpa». Quanto al processo digestivo ancora in corso quando la bimba entrò in acqua, il medico legale aveva escluso la possibilità di indicarlo con certezza come «antecedente causale» della morte. Nel quantificare il danno parentale, l’avvocato Campeis ha chiesto un risarcimento complessivo di 800 mila euro.

La difesa: manca il nesso causale

«Un caso fortuito e imprevedibile». I difensori dei tre imputati, avvocati Guglielmo Pelizzo e Gianluca Visonà, lo hanno ripetuto a loro volta, nell’arringa seguita alla richiesta di non luogo a procedere formulata dal pm. «Non c’è alcun nesso causale - hanno affermato - e a provarlo era stata già l’autopsia ed è stata poi anche la perizia medico-legale». Trattandosi di una piscina privata, «adeguati erano risultati anche i presidi di sicurezza presenti al suo interno e - hanno aggiunto - sempre a disposizione degli associati».

Uscito dalla Camera di consiglio, il giudice ha valutato diversamente. «Pur ravvisandosi elementi di responsabilità a carico del padre, non più valutabili in questa sede - ha sentenziato -, per i tre imputati non si ritiene inutile nè superfluo il vaglio dibattimentale». Il che non ha tuttavia scalfito la fiducia dei difensori. «Affronteremo con serenità il dibattimento - ha commentato Pelizzo -, certi di poter fornire gli elementi necessari a fare comprendere a tutti la correttezza dell’operato dei responsabili della piscina».

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