Bilanci gonfiati: a processo i vertici dell’Udinese Calcio

I vertici dell’Udinese Calcio saranno processati per il caso del cosiddetto doping amministrativo su fatture relative a compravendite di giocatori. A giudizio Gino Pozzo, Franco Soldati e Pierpaolo Marino, rispettivamente consigliere, presidente ed ex direttore generale della società bianconera. Il processo comincerà l’11 marzo.
UDINE.
I vertici dell’Udinese calcio saranno processati per il caso del cosiddetto doping amministrativo su fatture relative a compravendite di giocatori. Lo ha deciso ieri il Gup del tribunale di Udine Roberto Venditti rinviando a giudizio Gino Pozzo, Franco Soldati e Pierpaolo Marino, rispettivamente consigliere, presidente ed ex direttore generale della società bianconera. Il processo comincerà l’11 marzo davanti al tribunale in composizione collegiale.


In sintesi, si ipotizzano vantaggi fiscali derivanti all’Udinese dalle operazioni di compravendita di sei giocatori avvenute tra il 2003 e il 2005 con il Venezia calcio e il Genoa. Si ipotizza quindi che l’Udinese abbia comprato prima e venduto poi giocatori che, in realtà, non hanno indossato la maglia bianconera e quindi d’aver gonfiato artificiosamente le voci di acquisto e vendita per ottenere vantaggi fiscali, con correlate responsabilità di falso in bilancio.


Per i rapporti avuti con il Genoa, in luglio il processo a Genova era finito con la prescrizione del reato di falso in bilancio in concorso. Nell’inchiesta udinese si ipotizza che le operazioni siano avvenute solo sulla carta, in modo da assestare i bilanci con “aggiustamenti” attraverso operazioni ritenute fittizie e finalizzate appunto a pagare meno tasse.


Per esempio, il paraguaiano Ruben Maldonado risultava comprato dal Venezia per oltre 10 milioni di euro (gennaio 2003) e, nello stesso anno, senza giocare partite al Friuli, veniva ceduto di nuovo alla società di provenienza per una somma di soli 50 mila euro, con conseguente indicazione di minusvalenza fittizia. Nell’iniziale ipotesi accusatoria, le altre procedure sospette riguardavano le compravendite di Gonzalo Martinez, Vittorio Micolucci, Valon Behrami, Rodrigue Boisfer, Thiago Maier Santos (detto “Schumacher”).


Per le difese (gli avvocati Giuseppe Campeis, Mariano Rossetti, Maurizio Conti e Aldo Scalettaris) le operazioni di compravendita dei sei giocatori non portarono alcun vantaggio fiscale alla società bianconera. In sostanza, tutto era vero, con fatture valide e le conseguenti poste di bilancio.

Con un decreto motivato per punti (e in diritto) ieri il Gup Venditti ha deciso che gli elementi acquisiti e le conclusioni dei consulenti consentono di ritenere fondate le accuse, così come chiesto dal pubblico ministero Lucia Terzariol.


Per il giudice le conclusioni sono da condividere nel punto in cui individuano nella fittizietà delle operazioni l’elemento costitutivo dell’insorgenza dell’obbligo tributario, al contrario di quanto sostenuto dal consulente tecnico della difesa dell’Udinese sulla necessità di valutare le complessive operazioni non tanto per gli effetti prodotti in relazione ai singoli esercizi nei quali esse vennero poste in essere, quanto nell’ottica dell’impatto fiscale complessivamente considerato.


Il Gup Venditti ritiene che la norma non consenta di operare valutazioni slegate dall’esercizio di competenza: da qui l’ipotesi del delitto di danno, che si consuma quando si presenta la singola dichiarazione dei redditi, e l’ipotesi del delitto di pericolo la cui consumazione coincide con la materiale emissione della fattura per l’operazione che si suppone inesistente.


Le difese avevano anche prodotto la sentenza di Genova, ma il Gup Venditti, con molto garbo, ha fatto notare come in quella valutazione si confondano i profili del dolo specifico e del dolo esclusivo, «ritenendo che l’esistenza di una finalità principale che determina il soggetto agente alla realizzazione della condotta contestata sia incompatibile con la violazione e la consapevolezza di tutti gli elementi costitutivi anche del delitto a dolo specifico».


In altre parole, nel valutare sussistente l’ipotesi contestata, il giudice ha ritenuto che per un verso la perfetta identità dei corrispettivi delle cessioni incrociate costituisce evidenza dell’esistenza di un’attenta valutazione delle poste attive e passive finalizzate a non far insorgere alcun debito tributario; mentre per l’altro verso esiste la finalità ulteriore rappresentata dal cosiddetto abbellimento del bilancio, imposta dalla necessità di rientrare nei parametri federali per l’iscrizione al campionato di calcio di serie A.
(g.s.)

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