Bar della stazione ferroviaria Giuseppe De Cesco lascia e racconta 48 anni di storia

La città di Pordenone gli è passata letteralmente sotto gli occhi ogni giorno, negli ultimi 48 anni. Gente che arrivava, o che partiva, ma anche clienti abituali che si fermavano per il caffè del mattino, o per l’ultimo giro della sera: prima o dopo una giornata di lavoro trascorsa in città.
Giuseppe De Cesco, che dal primo agosto 1963 gestisce il “Bar della Stazione” all’interno della stazione ferroviaria di Pordenone, l’ha vista crescere e mutare la città sul Noncello nata dal boom industriale anni Sessanta. Dopo 48 anni, a fine mese, consegnerà le chiavi del bar a Centostazioni Spa, la società delle Ferrovie dello Stato che ha in carico la riqualificazione di 103 stazioni italiane, tra le quali anche quella di Pordenone. «Il 31 dicembre – dice De Cesco – vado in pensione. A marzo compierò 74 anni ed è arrivato il momento di riposarmi».
Classe 1938, De Cesco è uno di quei commercianti vecchio stile: poche parole, serietà nel servizio, discrezione e soprattutto tanto duro lavoro. Nel 1963 aveva 25 anni e gestiva con la famiglia un bar di Venezia quando venne a sapere del concorso indetto dalle Ferrovie dello Stato per la stazione pordenonese. Originario di Montereale Valcellina, una volta vinta la gara De Cesco si trasferì in città a cento metri dal lavoro, dove oggi vive con la moglie Gabriella, e cominciò a gestire il servizio con i fratelli Fausto e Giorgio e le loro sorelle. Con loro fin dall’inizio c’è stato anche lo storico dipendente, il signor Piero, andato in pensione nel 2000. Crocevia di gente, il bar della stazione ferroviaria è stato punto di incontro della Pordenone bene, dei viaggiatori, dei forestieri e dei militari.
«Da me venivano ogni mattina i grandi imprenditori della città – racconta De Cesco - i fratelli Zanussi, il signor Savio. Dicevano tutti che avevamo un buon caffè e così prima di andare in fabbrica, all’alba, si incontravano davanti al nostro bancone. Erano gli anni in cui la gente si muoveva a piedi e le poche macchine non potevano girare nei corsi e nelle vie del centro storico. Ricordo che a quel tempo i cortei funebri, dopo la celebrazione nella chiesa di San Giorgio, passavano davanti alla stazione per raggiungere via Cappuccini. Erano però altri anni».
Al bar della stazione ci andava anche il celebre pittore pordenonese Gino Marta, che De Cesco ricorda con stima. «Erano tutte persone molto serie – dice di loro – gente a modo e rispettosa come non se ne vede più tanto negli ultimi anni». Dal carattere schivo, commerciante d’altri tempi anche quando il tempo, soprattutto dagli anni Ottanta in poi, ha cominciato anche qui a viaggiare più veloce, più frenetico, facendo perdere di vista a volte anche le buone maniere, Giuseppe De Cesco ha servito per 48 anni sette giorni su sette, dalle 5 alle 11.30 di ogni giorno, da dietro al suo bancone. «Da quando sono stati aperti i primi centri commerciali la gente è cambiata – dice -. Un tempo c’erano i bevitori, quelli che con un bicchiere in più diventavano cattivi e bastava allontanarli, o quelli che invece facevano ridere. Erano uomini adulti – fa notare l’esercente – oggi invece a bere sono soprattutto i giovani».
Da alcuni anni poi, con il trasferimento della stazione delle corriere accanto a quella ferroviaria, di ragazzi al bar se ne vedono ancora di più. «A mancare ora sono piuttosto i militari – fa notare De Cesco -. Quando esisteva il servizio di leva e Pordenone era un presidio militare al bar i fine settimana erano spesso una festa. Si riunivano in stazione in arrivo o in partenza dalla caserma, in divisa, e facevano una gran cagnara, ma c’era allegria e il bar si riempiva tutto». Si lavorava bene anche nel fine settimana. «C’erano infatti tante famiglie o compagnie di amici che la domenica prendevano il treno per farsi una gita fuori porta – osserva il gestore –. Oggi invece non c’è quasi nessuno, perché si gira in macchina e soprattutto si passeggia nei centri commerciali».
Nella Pordenone del boom industriale al bar ci andavano oltre ai viaggiatori, chi la città la stava costruendo economicamente (gli imprenditori); negli anni Ottanta chi la stava animando (i militari, le compagnie di amici). «C’era rispetto anche tra uomini e donne – dice De Cesco – anche se va detto che nel mio bar ho sempre cercato di selezionare la gente, con educazione ma con una certa fermezza». Tant’è che mai le forze dell’ordine sono dovute intervenire per redimere liti o tafferugli.
Così proprio negli anni Ottanta, quando nella Pordenone del benessere le “signorine” lavoravano al parcheggio Marcolin, in città scoppiava il fenomeno droga e la stazione cominciò a diventare sempre di più luogo di incontro clandestino per coppie etero o omosessuali, il bar di De Cesco riuscì a rimanere un isola felice. «Negli ultimi anni – osserva con rammarico lo storico esercente – tutto è cambiato e la gente sembra andare veloce come vanno i treni, senza mai incontrarsi. La città è diventata grande, sono arrivati gli stranieri, si è persa l’educazione al rispetto dell’altro e non si parla più».
A complicare il tutto si è aggiunta la crisi e a danneggiare gli affari anche i cambiamenti della viabilità a servizio della stazione ferroviaria cittadina. «Le corriere – dice a riguardo De Cesco – hanno portato via i parcheggi e i clienti del bar sono diminuiti. E’ cambiata anche la tipologia della clientela». I primi parcheggi utili per raggiungere la stazione sono infatti lontani, mentre quelli che stanno di fronte consentono una sosta di soli 15 minuti, giusto il tempo di caricare o scaricare le valige di chi arriva o parte. Perciò il cliente moderno dello storico bar della stazione di Pordenone, inaugurata il 1 maggio 1855, è sempre di più un utente delle Ferrovie dello Stato.
Quella di Cesco è stata la gestione più lunga del bar della stazione ferroviaria ed è difficile pensare che ce ne possano essere altre così. Nel chiudere le pagine del libro fotografico “La nostra storia” che la Biblioteca dell’Immagine alcuni anni fa ha dedicato alla città di Pordenone, Giuseppe De Cesco, da dietro al bancone, si sofferma a pagina 237 e dice: «Vede come ero giovane quando arrivai in città? Il vostro fotografo Aldo Missinato aveva immortalato anche me e questo angolo di storia di Pordenone che è il mio bar».
Milena Bidinost
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