Bancarotta, maxi-sequestro di azioni e 3 indagati
Sono stati sottoposti a vincolo 300 titoli dell’Interporto per un miliardo 630 milioni di lire
Con un maxi-sequestro di azioni dell’Interporto Alpe Adria di Cervignano spa ha decollato un’inchiesta della Procura di Udine che vede tre persone indagate per l’ipotesi bancarotta fraudolenta patrimoniale, documentale e distrattiva di un miliardo 630 milioni di lire. L’inchiesta segue il fallimento della società udinese Movimentazioni ferroviarie (Movifer) srl, dichiarato nel marzo 2004. Dalla relazione del curatore Cecilia Toneatto e dalle indagini dei finanzieri del Nucleo di polizia tributaria coordinati dal sostituto procuratore Luigi Leghissa è seguita l’inchiesta che ha portato a sottoporre a vincolo le 300 azioni Interporto valutate appunto oltre un miliardo e mezzo di lire. Chiamati a rispondere dell’ipotesi accusatoria sono tre manager piuttosto conosciuti in città e non solo: l’ingegnere udinese Sebastiano Cacciaguerra, 62 anni, il ragioniere commercialista udinese Franco Pirelli Marti, 54 anni, e il dottor Ferdinando De Cillia, residente a Remanzacco. A vario titolo risultano indagati per i ruoli rispettivamente ricoperti nelle società coinvolte o comunque riconducibili a loro. È stato il Gip del tribunale di Udine Paolo Lauteri a disporre il sequestro preventivo di quelle azioni Interporto, su richiesta del pm Leghissa. Proprio il valore commerciale dei titoli di un miliardo 630 milioni di lire (valutate così perché l’epoca della loro vendita è fatta risalire al 2000) rappresenta la cifra supposta per la distrazione. In sintesi, quelle azioni risultano essere state vendute alla Nuova Bulfone srl poi diventata Officina ferroviaria srl e infine Raccordi ferroviari srl. Al sequestro è seguita una richiesta di dissequestro che il Tribunale del riesame di Udine ha ritenuto inammissibile. I ruoli dei tre indagati sono così indicati nell’ipotesi accusatoria: Cacciaguerra presidente del consiglio d’amministrazione della fallita Movifer srl, De Cillia formale amministratore della Nuova Bulfone, Pirelli Marti amministratore di fatto di quest’ultima anche per i presunti collegamenti con altre società partecipate riconducibili allo stesso commercialista. L’assunto accusatorio prefigura che la Nuova Bulfone sia stata favorita dalla distrazione delle azioni ora sequestrate e che esse siano servite non soltanto per evitare la liquidazione della Nuova Bulfone (che così avrebbe ripianato un grosso debito), ma anche per ottenere un posto nel consiglio d’amministrazione dell’Interporto Alpe Adria di Cervignano, poi ricoperto da Pirelli Marti. È il passaggio delle azioni oggi sequestrate la chiave di volta dell’inchiesta: dai libri contabili della fallita Movifer è emerso che la vendita dei titoli risulta avvenuta non con una contropartita in denaro, ma attraverso operazioni contabili cosiddette di compensazione e accollo di crediti e debiti vantati da almeno sei grosse banche regionali oltre che da singoli individui (un politico), da enti pubblici e società diverse. Si ipotizza quindi un grave danno per i creditori della società udinese fallita.
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