Autopsie a rischio altissimo: il virus si replica nelle salme

La prossima settimana saranno affidate le prime autopsie sugli anziani deceduti già ospiti in casa di riposo a Castions di Zoppola. Sono esami a elevato rischio di contagio, per i quali l’Istituto superiore di sanità ha codificato precisi standard di sicurezza. Ce ne parla lo specialista in medicina legale di Mestre Antonello Cirnelli, consulente tecnico che lavora per tribunali e pm veneti e, in Fvg, a Udine e Pordenone. Proprio a lui la Procura di Treviso ha affidato 5 autopsie per sospetto Covid-19.
È necessaria una formazione particolare?
«Le autopsie Covid non possono essere eseguite da tutti. Richiedono una grande preparazione di base, perché si pone a rischio la propria vita e dei collaboratori in sala, nonché dei propri familiari e contatti».
Come mai?
«I cadaveri possono essere infetti. Ho visto il virus continuare a replicarsi in certe salme una settimana dopo la morte, e altre, per ragioni ignote, negativizzarsi».
Quali caratteristiche deve avere la sala autoptica per lavorare in sicurezza?
«L’Iss prescrive di eseguire le autopsie di cadaveri infetti in sale Bsl3, con adeguato sistema di aerazione. La pressione negativa rispetto alle aree adiacenti è solo uno dei requisiti. La sala di Padova, dove eseguo gli esami, una delle poche attrezzate in Italia, ha anche i doppi filtri Hepa, in doppia aspirazione. Dopo ogni autopsia si effettua la disinfezione totale».
Quali sarebbero i rischi in una sala non Bsl3?
«Enormi. C’è il rischio biologico per dispersioni di liquidi o tessuti infetti, con elevata carica e quindi molto contagiosi. Si può contrarre l’infezione per contaminazione di cute o mucose, inalazione, ingestione, inoculazione percutanea»
Quali le precauzioni?
«Chi trasporta o manipola le salme segue protocolli precisi, indossa tutti i dispositivi di protezione. I cadaveri vengono avvolti in un lenzuolo impregnato di varechina, prima di essere chiusi ermeticamente nel sacco. Va posta anche una particolare attenzione all’incenerimento dei vestiti».
Gli effetti del virus?
«Non esiste un quadro caratteristico in assoluto, in alcuni pazienti è stato riscontrato un quadro di interesse prevalentemente polmonare, in altri prevalentemente cardiaco o cardio-circolatorio».
Come accerta che il decesso è stato causato dal covid?
«Si parte dall’esame visivo, per proseguire con i test microbiologici, si osservano i tessuti al microscopio, si studia la documentazione sanitaria. Bisogna vedere poi se, quando è stata contratta l’infezione, per esempio in una casa di riposo, c’è stato il cosiddetto viraggio, un cambiamento clinico della malattia esitato con la morte. Se riscontro, infine, aspetti anatomopatologici convincenti per il Covid-19, posso affermare che è stata la causa del decesso. Per l’esito, ci vogliono almeno 60 giorni».
Dalle autopsie si può scoprire la cura?
«Si vede se la terapia ha funzionato in termini generali. Attualmente non esiste un protocollo standard, si è visto però che prima ci si muove con la terapia antinfiammatoria, meglio è. L’infiammazione è la reazione scatenata dal nostro organismo contro il virus. Mentre galoppa per salvarci la vita, è accompagnata da febbre, mal di gola, dolori alle ossa, anosmia, fino ai sintomi più gravi, che comportano il ricovero in terapia intensiva».
Combattiamo un nemico sconosciuto?
«Un alieno. Bisogna entrare nell’ottica socratica: “So di non sapere”. Se partiamo dalle domande, ci sforzeremo di trovare le risposte. Se invece pensiamo di sapere tutto, allora finiremo per provocare altre morti». —
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