Anziani addio al Villaggio del Sole: nasce la città degli studenti

La nuova identità del borgo dove una volta tutti si conoscevano. I residenti storici se ne vanno e affittano agli universitari
Udine 23 Febbraio 2015. Rione Villaggio del Sole. Varie un Piazzale Carnia. © Petrussi Foto Press / Petrussi Diego
Udine 23 Febbraio 2015. Rione Villaggio del Sole. Varie un Piazzale Carnia. © Petrussi Foto Press / Petrussi Diego

UDINE. Il Villaggio del Sole è un quartiere dai mille volti. Ci abitano famiglie, anziani, giovani (pochi), stranieri. E, adesso, anche studenti universitari. Fino a vent’anni fa era un rione popolare, dove i bambini giocavano per le strade e tutti si conoscevano.

Quel quartiere alla periferia di Udine, fatto di palazzoni dalle linee uniformi e lineari – così all’avanguardia negli anni Sessanta e così “diverso” rispetto alla città – che si era battuto e si era sudato i servizi necessari alla comunità, con lo scorrere del tempo, però, si è trasformato.

Spazio urbano che dava alloggio alle famiglie provenienti da tutta la provincia, il Villaggio del Sole ha perso un’intera generazione, la seconda, migrata soprattutto verso altri centri dell’hinterland, e solo oggi si inizia a registrare un ritorno da parte di quella successiva.

Le case degli operai inventate da Fanfani
Placeholder

Ma quel che è più singolare, è che negli ultimi cinque o sei anni si è assistito a un fenomeno di “svuotamento” di molti appartamenti da parte di persone anziane, che ora affittano il loro immobile agli studenti. Facce diverse, nuovo “volto” al quartiere. Resta però un interrogativo: qual’e l’anima di questo luogo?

I ricordi di chi ci vive

Tra quelli che al Villaggio del Sole ci abitano, c’è chi ne ricorda una passata e chi, invece, pensa non ne abbia mai avuta una. Di certo, sono molti a guardare con nostalgia a quel senso di comunità che un tempo, si dice, era vivo. Emilia Fedrigo, 90 anni e da ben 53 residente nel rione udinese, ripensa a quel quartiere animato da famiglie e bambini, dove bastava uscire di casa per fare una chiacchiera.

«Ora tutto è diverso – osserva Emilia –, i nostri figli se ne sono andati e qui sono rimasti solo anziani, studenti ed extracomunitari. Nessuno dà più confidenza, manca la gioventù, ma soprattutto non c’è più un senso di comunità: ora siamo tutti soli».

Maria Alessandra Tropiano, che assieme al fidanzato Costantino La Marca gestisce il bar «Al Sole», si lascia andare a qualche ricordo e con lo sguardo rivolto a piazzale Carnia racconta: «Quand’ero piccola quello spiazzo era pieno di vita, tra bambini ci si suonava i campanelli e si scendeva in strada per giocare assieme».

La mancanza di un’identità

Che cosa ne è stato delle iniziative e delle sagre organizzate dal parroco per riunire la comunità (e i vicini quartieri)? Delle battaglie sociali per ottenere i servizi, dal medico di base al marciapiede lungo le strade? Dov’è finito lo spirito di quel luogo in cui i cittadini, oltre cinquant’anni fa, si diedero appuntamento al centro sociale e crearono prima il comitato e poi la prima circoscrizione udinese? Ottenuti i benefici, lo spirito del borgo si è sfilacciato.

«Sono venute meno le necessità comuni: probabilmente il senso di aggregazione si era formato più in nome di una convenienza, piuttosto che intorno a un’idea di comunità» afferma l’architetto Giuseppe Vacchiano, fondatore della Pro loco Borgo Sole Udineovest. Comunità che nasce sulla base di esigenze di servizi collettivi, anche se in questo quartiere, seguendo il filo logico della riflessione del professionista, non c’è mai stata una vera e propria integrazione.

«Dalla provincia le persone si trasferivano qui al borgo del Sole – spiega Vacchiano – però poi non vivevano socialmente questa comunità, facendo invece riferimento ai loro paesi di provenienza». Un tessuto sociale debole, al quale è mancata una costruzione identitaria, e forse per questo motivo proprio qui hanno attecchito in maniera più forte episodi di rivalità e scontri tra bande giovanili. «È mancato anche il tessuto artigianale, che avrebbe radicato più profondamente le persone» prosegue l’architetto.

Studenti, il nuovo volto

Francesco Masutti è un commerciante che ha deciso di portare avanti l’attività del negozio di ferramenta avviata dai genitori 53 anni fa. La prima bottega di piazzale Carnia. Secondo Francesco al quartiere non manca nulla dal punto di vista dei servizi, è un borgo tranquillo, si vive bene.

Lui, per esempio, non lo lascerebbe mai. L’unico problema è la lampante mancanza di partecipazione alle iniziative organizzate, seppur sporadicamente, per solidarizzare. «La gente ha bisogno e voglia di vivere la comunità, ma mancano gli stimoli giusti, i centri di aggregazione. E poi gli studenti, come dappertutto, non è che vivano particolarmente i quartieri: sono impegnati all’università o si proiettano verso il centro storico».

Da 37 anni sul lato opposto del piazzale ha sede il Circolo operaio. Roberto De Biaggio, tra i suoi fondatori, dipinge un quartiere che «durante la crisi ha comunque saputo mantenere una sua filosofia, e si è espanso». Del resto, argomenta De Biaggio, «qualsiasi rione subisce i cambiamenti della città, e l’elemento dinamico qui è rappresentato dai giovani studenti», molti dei quali, ha riferito, partecipano attivamente agli incontri settimanali proposti dal circolo.

L’anima possibile

Eppure, nonostante il Villaggio offra tutto quello di cui un cittadino ha bisogno senza doversi recare in centro città, e la percentuale di residenti sia alta, non si riesce a leggere correttamente i loro messaggi e le loro esigenze. Il vero problema è che questo borgo non attira nemmeno le coppie giovani, a meno che non ereditino una proprietà. Sono pochi a scegliere questo posto per formare una famiglia.

«Non è considerato un quartiere “in”, è ancora “macchiato” da quella nomea di rione “popolare” per la titolare del bar Al Sole, e mancano iniziative trasversali che possano raccogliere l’interesse di tanti e diversi residenti». Manca aggregazione, manca probabilmente un’anima sulla quale costruire un’identità. Edifici, spazi comuni, giardini. La chiesa, l’asilo, le scuole.

Tante unità andarono a comporre una nuova parte urbana autosufficiente e “compiuta”. Funzionale certo, ma figlia di un progetto politico, urbanistico e architettonico con un’ambizione di ben più larghe vedute. Quel quartiere nasceva come “esperimento” per formare e far crescere una comunità di cittadini, a partire dalla solidarietà. Una sorta di acceleratore, che non è mai stato calcato.

La sfida di oggi è rendere il quartiere ricco di relazioni sociali tra vecchi e nuovi abitanti. Significa rivitalizzarlo, renderlo più attrattivo e bello per chi ci vive. Il che, partendo da un contesto spesso fragile, composto da molte famiglie mononucleari di anziani, nuovi cittadini d’origine straniera e studenti, non è semplice.

Se ogni borgo ha un’anima, la sfida vera è forse allora comprendere qual è o quale potrebbe essere quella del Villaggio del Sole. Altrimenti si rischia che questo pezzo di città, ricco di associazioni e volontariato ma a un passo dalla disgregazione sociale tra i suoi abitanti, resti per sempre un luogo-non-luogo.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Argomenti:scuola

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto