Anni di intercettazioni alla famiglia di Tavagnacco

«I numerosi incroci fra le varie società fungono da brodo di coltura di ogni genere di artificio contabile e possono avere determinato il travaso dei beni da società formalmente intestate al padre...

«I numerosi incroci fra le varie società fungono da brodo di coltura di ogni genere di artificio contabile e possono avere determinato il travaso dei beni da società formalmente intestate al padre deceduto (Domenico) a quelle intestate ai figli, senza che sia stato necessario effettuare alcuna dichiarazione di successione». Non ipotesi accusatorie campate in aria, quelle riportate nel provvedimento del tribunale di Palermo, ma un’attenta ricostruzione fondata sulle conversazioni che gli indagati hanno “servito” nel tempo agli inquirenti di Trieste che li intercettavano. È anche sulla scorta dei risultati conseguiti dalla Procura giuliana in anni di attività investigativa che il maxi sequestro disposto nei confronti della famiglia Graziano ha potuto realizzarsi.

Il provvedimento – riferisce una nota della Direzione distrettuale antimafia, che fa capo al procuratore di Trieste, Carlo Mastelloni – «è giunto a seguito della riserva di carattere tecnico, formulata da questa Procura, che un paio di settimane fa ha trasmesso a Palermo gli accertamenti analitici svolti dalla Dia di Trieste e dal Gico della Guardia di Finanza di Trieste, nonché dal Ros dei Carabinieri di Udine. Gli accertamenti – continua – hanno riguardato sia le dinamiche di acquisizione e di cessione dei vari beni immobili, sia l’analisi del notevole flusso di denaro che transitava attraverso i conti personali e delle società partecipate e/o amministrate dai membri della famiglia».

Quello di ieri è il terzo blitz di questa portata compiuto in Friuli nei confronti dei Graziano. Nel 2010, lo stesso tribunale di Palermo ordina il sequestro di beni per oltre cinquanta milioni di euro nelle disponibilità di Vincenzo Graziano, di cui cinque relativi ad appartamenti, box e terreni sparsi tra Tavagnacco e Martignacco. È accusato di estorsioni ai danni di imprenditori operanti nel cantiere navale di Palermo. Nel 2014, invece, tocca al nipote Camillo aprire la porta alle perquisizioni dei finanzieri: l’operazione si chiama Apocalisse e insieme ad altri elementi siciliani della famiglia è sospettato di far parte dell’associazione che, nel mandamento di Resuttana, controlla il racket delle slot machine e delle scommesse.

«Che anche in Friuli ci siano persone collegate alla mafia è cosa nota – è il commento del procuratore di Udine, Antonio De Nicolo –. Ma le indagini sono di competenza della Dda di Trieste, che li conosce e monitora. Questa è una terra di pace sociale e dove si viene per investire. Sono convinto che la caccia ai patrimoni illeciti sia la strada che, insieme alla Polizia giudiziaria, dobbiamo primariamente percorrere e, non a caso, un gruppo formato da cinque miei colleghi si occupa anche di questo». (l.d.f.)

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