Amava Pordenone, cercò di salvare il Pienne

Si era offerto di allenare la squadra gratuitamente. Fu il play della Postalmobili negli anni del boom
Di Dario Darduin

Il momento felice delle formazioni pordenonesi, tutte vincenti nel week-end, è stato spezzato dalla notizia della morte di Gilio Melilla, personaggio prima ancora che cestista che tutte le generazioni in città hanno conosciuto. Dalle più vecchie, che hanno ammirato dal vivo le sue gesta in maglia Postalmobili, alle nuove, che di Giulio hanno sentito parlare da quelli che c’erano o che l’hanno affrontato da allenatore su qualcuna delle tante panchine che ha occupato.

Quello dei pordenonesi per l’ex play degli anni del boom cestistico è un amore che Melilla ha sempre ricambiato. Anche lo scorso agosto, quando intervenne per cercare di salvare la serie B del Pienne. Pur di evitare la rinuncia al campionato, si propose di allenare la squadra gratuitamente, parlando di persona con diversi giocatori, perchè lo seguissero nell’avventura, e muovendosi anche per reperire risorse economiche. «Pordenone è una piazza fantastica – aveva dichiarato al Messaggero Veneto –, non è possibile che finisca così. Dobbiamo batterci tutti».

La storia racconta come finì la disperata corsa, con la rinuncia alla partecipazione del presidente Santarossa. Ma a noi piace ancora pensarlo così impegnato per una città che aveva nel cuore nonostante non fosse la sua, a dispetto di tanti pordenonesi doc che hanno invece lasciato morire il Pienne senza intervenire. Nella Postalmobili dei tempi del boom c’erano tanti giocatori di nome, come Masini e Paleari, ma era in Melilla che il tifo pordenonese si identificava: è stato lui a pilotare i biancorossi dalla B alla A2, poi mantenendola nella categoria. Capitano di quella squadra era Sandro Sambin.

«Giulio? Un grande combattente – dice –, geniale in campo, uno che sapeva inventare, che non ci stava mai a perdere, che non mollava mai. Ci eravamo trovati a maggio, quando l’allora americano Wilber venne in città e fu una serata fantastica, piena di ricordi, di quei fantastici anni tra gente vera. Non facile da gestire come carattere, ma un innamorato del basket, che aveva preso a cuore la città. La sua morte lascia un vuoto incolmabile».

A ricordarlo è anche Domenico Fantin. «Io a quei tempi ero il cucciolo – dice – e lui mi prese sotto la sua ala protettrice, gli devo veramente molto. A fine allenamento voleva sempre fermarsi a fare uno contro uno con me e, nonostante non fosse più giovanissimo, non ricordo di averlo mai battuto. Senza di lui il basket non sarà più lo stesso, per tante ragioni è come fosse finita un’epoca». Al ricordo di Giluio si unisce anche il presidente della Fip provinciale, Ezio Zuccolo. «Ero un ragazzo – dichiara – quando andavo a vederlo giocare con indosso la sua inseparabile maglia numero 4. Era un idolo per tutti noi della gradinata, uno di quelli che sapeva coinvolgerti, che ti trasmetteva passione, voglia di vincere, partecipazione».

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